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Le bottiglie d’acqua personalizzate, nelle strutture ricettive come anche nelle fiere, dove hanno fatto da apripista, è un must in crescita per fidelizzare ulteriormente la clientela
Come è ormai assodato, ogni albergo e ogni struttura ricettiva, soprattutto up-market, mirano a fare tendenza per loro stessi, a offrire quel quid in più per fidelizzare il cliente e attrarre nuovi ospiti, ad alzare l’asticella dell’offerta che, proprio per questo, è sempre più personalizzata.
Quindi, non stupisce e, a dirla tutta, forse non è più neanche una notizia, il fatto che a essere personalizzate siano anche le bottiglie d’acqua con il logo della struttura, delle fiere dei tanti tipi di settore che, in questo caso, hanno fatto da apripista.
Le bottiglie d’acqua personalizzate sono, in realtà, una tipologia delle linee di cortesia. Diciamoci la verità: quando decidiamo di soggiornare in questa o quella struttura non pensiamo mai al bagnoschiuma con il nome dell’hotel o, talvolta, dello stilista di ultimo grido, però è anche innegabile che quando troviamo questi gadget un sorriso ci illumina il volto. Ci piace.
È il marketing che si sposa con la soddisfazione del cliente, perché la cortesia verso chi soggiorna è un buon ritorno d’immagine per la stessa struttura ricettiva, sia nel momento in cui si è graditi ospiti o anche dopo, grazie al passaparola attraverso i feedback online, che significano, anche, una clientela che al 99% prenoterà ancora lì. È, quindi, una bella pubblicità, ma anche un rientro economico interessante per l’hotel. Il brand enfatizza l’albergo e viceversa e, nel personalizzare la linea cortesia sul target dell’ospite, questa diventa un’attenzione ai dettagli e, così facendo, la si rende anche l’elemento di un bel ricordo una volta tornati a casa.
Parlare di acqua, poi, “semplicemente” da bere in bottiglie e lattine personalizzate e ormai non più solo in strutture ricettive e fiere, ma pure in occasione di matrimoni, compleanni, eventi privati in genere, oltre che nei ristoranti vuol dire, anche, seguire una certa moda green. Il che implica, come già accennato, un mix di gadget pubblicitari, fidelizzazione del cliente, valore aggiunto dell’offerta con, in più, una forma di comunicazione e di marketing promozionali non convenzionali. Un ciclo virtuoso che risulta essere, altresì, una strategia vincente e dove tutti sono soddisfatti, perché porta ricavi alla struttura e soddisfazione alla clientela.
Naturalmente, nella proposta di bottiglia d’acqua personalizzata c’è anche un’attenzione ai gusti del cliente e, a monte, uno studio del target di riferimento: a ognuno il suo prodotto perché, abbiamo detto, questo tipo di offerta è comunicazione.
La bottiglia d’acqua personalizzata oggi non è più soltanto un liquido dissetante con un bell’involucro nominale per cui possiamo tranquillamente parlare di “acqua brandizzata”, ma dietro c’è tutto un mondo non detto ma che ci è noto, perché implica la difesa dell’ambiente e l’attenzione a non inquinare il pianeta. Infatti, le bottiglie o le borracce o le lattine possono essere in vetro, la soluzione più pulita anche per il riciclo, ma anche in cartone o in alluminio. Sicuramente, non più o comunque molto meno in plastica, accusata di aver compromesso l’ambiente a causa di un uso irresponsabile, se non altro per i rifiuti lasciati ovunque e molto, molto difficili da smaltire.
Naturalmente, oltre al contenuto ci si focalizza sul contenitore: che forma ha?
È colorata? Trasparente? Raffinata ed elegante? Di design secondo la tipologia della struttura ricettiva e del target dell’ospite? Questo è uno di quei casi in cui la forma è importante come la sostanza.
Oggi, quindi, l’uso del contenitore d’acqua personalizzato presuppone un conclamato benessere, in quanto l’acqua è vita e ce ne accorgiamo quando viviamo problemi di siccità, ormai sotto gli occhi di tutti, è cambiamento d’abitudini urgente e probabilmente inevitabile, è tentativo ulteriore di preservare l’ambiente, considerando anche che l’acqua imbottigliata spesso è a chilometro zero o comunque locale, in ogni caso tutto assolutamente Made in Italy e di qualità, insieme all’involucro eco-sostenibile. Anche qui, un’impronta green che la clientela apprezza particolarmente, perché sente che in quell’albergo ci si prende cura della sua salute, oltre che del suo comfort e dell’ambiente circostante. E questo paga. Perché in una struttura, qualunque essa sia, che si prende cura del mio benessere a 360 gradi, io ci ritorno. G.F.
Nel mondo dell’hospitality, le parole sono molto importanti. Definiscono il tono del rapporto che si instaura con gli ospiti.
Per anni, molti sono stati convinti, erroneamente, che l’accessibilità sia un adempimento tecnico, di competenza di architetti, geometri, ecc., che occorre attuare solo per rispettare le norme sull’abbattimento delle barriere architettoniche.
Questa visione riduttiva ha portato a considerare l’accessibilità solo come una norma da rispettare, piuttosto che un’opportunità per migliorare la qualità dell’esperienza a tutti gli ospiti.
Il risultato è “un’accessibilità difensiva”, dove si fa il minimo indispensabile per essere “in regola”.
cambiare Prospettiva
È fondamentale comprendere che l’accessibilità non è solo una questione normativa, ma uno strumento straordinario per introdurre miglioramenti del comfort e dei servizi, un’opportunità per accrescere la qualità e offrire in più rispetto e attenzione verso tutti gli ospiti, inclusi quelli con disabilità, o con esigenze di accessibilità.
Questo cambio di prospettiva inizia dalle parole che utilizziamo.
Quando un ospite chiede la disponibilità di una camera accessibile, risposte come “siamo a norma” o “tranquillo, è già venuto un suo collega e si è trovato bene”, riflettono un atteggiamento superficiale e impersonale che mette in luce immediatamente la mancanza di consapevolezza delle esigenze dell’interlocutore. Ma danno anche immediatamente la misura di come la persona non è percepita come un ospite, ma una norma da rispettare, come se la richiesta fosse pervenuta da un funzionario della sanità pubblica o dall’ufficio edilizia del Comune.
A quali altri ospiti rispondiamo vantando il rispetto di una o più delle tante norme che siete tenuti a rispettare? Pensiamoci un attimo: abbiamo mai ricevuto recensioni dagli ospiti (quelli senza disabilità), che hanno dato risalto al rispetto delle norme antincendio o della sicurezza, solo per fare un esempio?
Iniziamo da qui
Un linguaggio rispettoso e attento, senza l’utilizzo di tecnicismi è il primo passo, ma vediamo qualche altro suggerimento che ci può essere utile:
1. Personalizzazione ed empatia: invece di risposte standardizzate o verbose, offriamo dettagli specifici e mostriamoci disponibili a fornire gli approfondimenti che il nostro futuro ospite ritiene necessari per la sua tranquillità, come prendere misure o inviare foto. Iniziamo, ad esempio, così: “Abbiamo diverse soluzioni per rendere il suo soggiorno confortevole. Può descriverci le sue necessità così da poterle offrire la soluzione migliore?”. È inutile chiedere la tipologia di disabilità, focalizziamo l’attenzione sulle esigenze che per l’ospite sono importanti.
2. Evitiamo stereotipi e generalizzazioni. Frasi come: “Siamo accessibili per tutti” risultano vaghe, inadeguate oppure creano aspettative che rischiano di andare deluse, realizzando le premesse per avere un ospite insoddisfatto.
È necessario essere chiari e specifici riguardo le caratteristiche di accessibilità dei servizi offerti.
3. Formazione: tutto il personale deve essere adeguatamente formato su come comunicare in modo rispettoso ed efficace. Questo include la conoscenza delle diverse esigenze di accessibilità che può trovarsi ad affrontare e delle situazioni che possono comportare.
La conoscenza delle esigenze principali tipiche delle diverse tipologie di disabilità costituisce la base su cui costruire risposte personalizzate.
4. Promuovere un’ospitalità accessibile: occorre andare oltre il minimo previsto dalle norme, norme che hanno oltre trent’anni e non sono garanzia di qualità ormai per nessuno. Investire sull’Universal Design per realizzare strutture e servizi che migliorano l’esperienza per tutti gli ospiti, compresi quelli con disabilità, fa sentire tutti benvenuti e crea un’immagine positiva e inclusiva del proprio brand.
In sintesi
Le parole sono importanti e costruiscono il mondo in cui viviamo; nel settore dell’ospitalità sono fondamentali per creare un ambiente accogliente che sappia mettere a proprio agio ogni ospite.
Bisogna superare il semplice rispetto delle normative per vedere l’accessibilità come un’opportunità per migliorare l’esperienza per tutti gli ospiti, offrendo un’accessibilità trasparente al fine di costruire un brand più forte, che distingua la struttura sul mercato, in grado di promuovere un turismo più etico e sostenibile.
Per realizzare una vera ospitalità inclusiva non basta essere in regola con le normative, occorre provare personalmente a muoversi e a vivere negli ambienti che offriamo, simulando le disabilità degli ospiti
Quando alla ragazza che mi aiuta in casa dissi: “Immagina di dover fruire di ogni cosa stando seduta su una sedia”, mi guardò perplessa. Le spiegai: “Tutto deve essere a portata di braccio di chi è seduto, a circa un metro e trenta da terra”. Questa è l’accessibilità.
Questa “comodità” l’ho incontrata diverse volte in strutture alberghiere italiane d’ogni rango. Dall’albergo ricavato in una cascina ottocentesca, progettato con la consulenza di amici paralimpici, fino al lussuoso cinque stelle fronte mare, ove dalla camera alla battigia ci si muove senza ostacoli e in piena autonomia. Persino l’accesso al mare, con le apposite sedie che entrano in acqua, è garantito. Un motivo di orgoglio per me, ligure genovese “su ruote”.
L’ospitalità davvero accessibile si compone di piccole accortezze, che rendono il soggiorno piacevole anche per gli ospiti che non possono camminare e si muovono sempre in sedia a rotelle.
Negli alberghi è il bagno l’area più problematica per chi non cammina. Eppure – come la ragazza che mi aiuta in casa – si può comprendere che uno specchio abbastanza basso sopra il lavabo consente di radersi la barba e non le sopracciglia. Una doccia “a filo” con all’interno un sedile ribaltabile permette di lavarsi con piacere, senza bagnare la costosa sedia a rotelle e sporcare il pavimento. Gli asciugamani appesi a un gancio, invece che ordinatamente riposti su una mensola troppo alta, diventano fruibili. E ancora, un banale cestino senza apertura a pedale risparmia scomode manovre a rischio ribaltamento della carrozzina.
La quasi totalità delle strutture ricettive italiane ha le potenzialità per essere completamente accessibile. Le camere dedicate agli ospiti con disabilità motoria sono dotate dei principali accessori utili a sollevarsi senza rischio e sforzo eccessivo.
La mia condizione – iniziata nove anni fa durante una sfortunata immersione subacquea in Grecia – è quella di centinaia di migliaia di italiani di ogni età. Tutti desiderosi di godere di una vacanza nelle bellissime località italiane.
In occasione di una recente trasferta di lavoro, mi sono trovato ad alloggiare in un albergo bellissimo, stiloso. Con un solo problema: per accedere all’ascensore vi erano due gradini alti, insormontabili.
Ho atteso il tempo di un aperitivo ed è comparsa una pedana in legno costruita a tempo di record, che mi ha permesso di andare in camera senza disagi e di entrare e uscire nei giorni successivi. Ecco l’ennesima conferma dell’incredibile capacità degli italiani di superare qualsiasi emergenza.
Questa grande dote, tuttavia, oggi non è sufficiente. Con il Giubileo alle porte, in tutto il mondo gli aspiranti clienti disabili delle strutture ricettive italiane sono già alla ricerca di un’ospitalità accessibile, comoda, sicura e priva del rischio di radersi le sopracciglia. Dobbiamo offrire loro il meglio dell’Italia attraverso un’ospitabilità indimenticabile.
Gli ingredienti ci sono. Avanti tutta, non c’è tempo da perdere.
La VI edizione di ITHIC (Italian Hospitality Investment Conference), organizzata da Teamwork e patrocinata da Federalberghi, si svolgerà a Roma presso l’hotel Villa Pamphili il 17 e il 18 ottobre 2024.
Il tema di questa edizione, "Showing You the Future", mira a fornire approfondimenti sul settore dell'ospitalità, in particolare sulle tendenze emergenti e sulle strategie di investimento, essenziali per affrontare le sfide future e cogliere nuove opportunità nel settore.
Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito internet www.ithic.it.
I soci del sistema Federalberghi possono acquistare il biglietto di ingresso a ITHIC usufruendo di una tariffa scontata del 30%, collegandosi alla pagina https://teamwork.swoogo.com/ithic e digitando nel campo “promo code” il codice sconto “30DSCFEDAL”.
In un mondo ormai dominato dal web e impostato per la maggior parte sulle regole della digitalizzazione, c’è chi ha scelto di affidare alla pittura fatta dalla mano dell’uomo messaggi importanti, proprio sulle pareti di uno spazio potenzialmente aperto a tutti, ovvero un hotel. Poter vedere un’azione su un murales, che silenziosamente agisce nell’animo dello spettatore di qualsiasi genere e provenienza, può avere un valore fortissimo in termini di sensibilizzazione. Un obiettivo forse nelle corde di Giacomo Doni, socio storico di Federalberghi Milano e proprietario dell’hotel teatro dell’iniziativa.
Signor Doni, la sua famiglia ha una tradizione significativa nel mondo dell’ospitalità, un contesto nel quale la comunicazione può fare la differenza. Il suo gruppo alberghiero ha fatto un’esperienza importante in questo senso. Ce ne vuole parlare?
Noi siamo alla terza generazione di albergatori. Il prossimo anno la nostra attività compirà 70 anni. Mio nonno cominciò con un piccolo albergo di 12 camere. Lui viveva nella cantina sottostante con la nonna e la sua famiglia. Oggi, di camere ne gestiamo più di 200 solo su Milano. In Piemonte siamo sul Lago Maggiore. Come mai? I miei genitori si conobbero sulle piste di una località del Monte Rosa. Lì è rimasto un pezzo di cuore e un pezzo di proprietà immobiliare e nel 2019 abbiamo aperto una prima realtà piccola, dove abbiamo sviluppato alcune tecnologie mirate all’abbattimento delle emissioni nocive. Nel nostro piccolo, stiamo dando progressivamente il nostro meglio per renderci azienda più sostenibile a livello ambientale, ma anche con forte sostenibilità sociale.
Questa inclinazione ha guidato le vostre scelte...
Dal punto di vista del sociale sì. Tutto inizia negli ultimi 10 anni, complice la nostra generazione di famiglia – la terza – che si occupa di ospitalità, io e le mie due sorelle Camilla ed Elda. In sintesi, intorno al 2016 incontriamo casualmente come gruppo Doni un’associazione concentrata su bambini con disturbi dello spettro autistico. Cogliamo allora l’opportunità e il desiderio latente di ampliare gli orizzonti della nostra azienda in termini di risorsa per il sociale e non solo fondata sul profitto. Ne nasce una collaborazione che porta alla realizzazione della prima “mappatura” a livello nazionale dell’albergo per persone affette da spettro autistico. Cerchiamo di certificarlo, decidiamo di avvalerci della professionalità dell’associazione “L’Abilità onlus”, la stessa che progetta e rende accessibili le strutture per persone affette da disabilità cognitiva e che ha realizzato, tra gli altri, il progetto dell’accessibilità degli scavi di Pompei. Ci convinciamo dell’obiettivo e raggiungiamo un primo livello, che è passato attraverso l’approccio formativo per il nostro staff, così da creare valore e consapevolezza dei nostri collaboratori circa questi bisogni speciali. Vorrei specificare che la disabilità ha tre diverse macro aree: quella motoria, quella sensoriale che riguarda i non vedenti e i non udenti, e quella appunto cognitiva, della quale fa parte lo spettro autistico. Alla fine, il nostro Hotel Madison riesce a produrre questo primo livello di studio, e porta in dote questa volontà alla catena internazionale cui apparteniamo (Best Western Italia): la catena abbraccia il progetto perché lo sente suo. Da quel giorno abbiamo mappato e certificato circa 30 alberghi nel panorama italiano. Il progetto di accessibilità vede la sua consacrazione tra il 2017 e il 2018.
Che cosa è successo dopo?
Verso il 2022 siamo intervenuti per la riqualificazione delle facciate dei nostri hotel, ed è nata l’idea di applicare dell’arte su uno dei nostri alberghi. Decidiamo di realizzare, in collaborazione con il gruppo Orticanoodles, street artist affermati sul panorama nazionale, il progetto del murales, che si trova sulla facciata del nostro Hotel Astoria. Un bambino e una donna in un abbraccio invisibile, il fondo è sulle tonalità del blu (da qui la definizione “Blu Wall”, nda), colore che ricorda che esiste lo spettro dell’autismo nella nostra società. Sono raffigurati una donna e un bambino come immagine che può essere letta in chiavi diverse: di una madre protettiva, ma anche di un disturbo cognitivo che resta comunque nella vita dell’adulto.
Il tema dell’inclusione nelle strutture alberghiere è sempre più attuale. Come pensa che la vostra categoria possa operare in questo senso?
è difficile immaginare che alberghi italiani, nati magari tra gli anni ’50 e ’60 con caratteristiche strutturali che non rispondevano a specifiche normative nella loro genesi iniziale, possano adeguarsi in modo perfetto a tutte le disabilità che oggi sono previste nello sviluppo di un immobile del Terzo millennio. Per questo è molto importante fare opera di riflessione nel settore. Non è sbagliato procedere per cluster, i gruppi di domanda sono corretti, per chi vuole vivere a pieno la propria esperienza in hotel così come se l’è prefigurata. Fare tutto bene è impossibile. Specificarsi e specializzarsi, invece, è utile e possibile. Diventa essenziale quindi incidere su chi è chiamato a rilasciare le normative, così da consentire all’albergatore di potersi rendere accessibile a una specifica forma di disabilità, non a tutte incondizionatamente. è utopistico poter essere adeguati per tutti, meglio specificarsi in un ambito importante per chi andrà a esserne il fruitore. La persona con fragilità, quando sceglie di andare in un albergo, ha bisogno di trovarsi in un contesto in cui si sappia di che cosa si tratta. Noi abbiamo dato un esempio pratico, ma questo non vuol dire che abbiamo la risposta. Abbiamo iniziato un percorso che però deve essere pilotato dalle sovrastrutture, dai corpi intermedi. Quando si decide di prendere in considerazione il termine “disabilità” e spacchettarlo nelle sue diverse forme, dobbiamo essere consapevoli che tutto bene non si può fare, ma se si cercasse appunto di “clusterizzare” gli alberghi, ciò consentirebbe all’albergatore stesso di affezionarsi a un’idea e a soddisfare la specifica esigenza. L’operatore commerciale non deve essere lasciato a se stesso, i corpi intermedi a mio avviso dovrebbero farsi promotori di un messaggio d’inclusione. Inclusione non solo in termini di ospitalità, ma anche in termini di accessibilità del mondo del lavoro.
Voi avete operato anche su questo fronte, a quanto risulta dalle cronache...
Diciamo che nel periodo della pandemia abbiamo cercato di restituire qualcosa alla città di Milano, che tanto ci ha dato. La situazione ci aveva obbligato a chiudere, per scelta aziendale, i nostri alberghi. Ma nella seconda ondata del virus, nel marzo 2021, insieme alle sorelle Edda e Camilla abbiamo messo a disposizione la nostra struttura e siamo diventati il secondo covid-hotel della città. Lo evidenzio perché ciò fa parte di una maturazione del gruppo familiare e dell’azienda tutta. Abbiamo sentito il dovere civile di dare il nostro contributo. Poi, mia sorella Elda all’Hotel Astoria ha voluto rendersi disponibile per l’alternanza scuola/lavoro, accettando solo ragazzi con fragilità, per consentire di fare esperienze lavorative a studenti che vanno dalla 3a alberghiera fino al diploma. In termini di ricaduta per i soggetti coinvolti, abbiamo visto molti di questi giovani maturare, sicuramente li abbiamo aiutati a prendere più consapevolezza di quello che è il mondo “fuori”.
Qual è l’hotel ideale, veramente “aperto a tutti”, che sappia coniugare le esperienze comuni con quelle di coloro che hanno bisogni speciali, al fine di una piacevole e armonica convivenza?
Non credo si debba parlare di albergo, ma di organizzazione. L’albergo è l’asset, è l’immobile, è ciò che si ha la forza di poter fare come intervento squisitamente immobiliare. L’hotel sono i muri. L’organizzazione sono le persone. Si deve tornare a parlare di persone. Il nostro staff, le persone appunto, fa la differenza. Sono loro che si devono modellare sulle necessità del soggetto fragile e sapere come intervenire nelle difficoltà. Senza le persone che lo fanno pulsare al suo interno, l’hotel è un oggetto inanimato. Ba.Bo.
Cos’è l’intelligenza artificiale?
In che modo può contribuire a rendere più efficienti le imprese dell’ospitalità e a migliorare il servizio offerto, senza snaturarne l’anima?
Federalberghi e il Centro di formazione management del terziario, con l’aiuto di Thomas Bialas, propongono un percorso di riflessione sull’impatto dell’intelligenza artificiale all’interno degli hotel.
L'IA può essere un alleato formidabile per l’albergatore.
Ad esempio, può aiutarci a parlare in tutte le lingue del mondo, offrire servizi personalizzati, ottimizzare i processi aziendali e aumentare la sicurezza.
Ma occorre saperla utilizzare, saper mettere la macchina al servizio dell’uomo.
Dobbiamo imparare a formulare le domande giuste, per ottenere risposte che creano valore.
Perché solo un uso “intelligente” della tecnologia ci pone al riparo da un’anonima standardizzazione.
Né possiamo sottovalutare il rischio che si ripropongano, su scala amplificata, le asimmetrie che si sono già verificate nel rapporto tra le strutture ricettive e le grandi online travel agencies.
L’IA può aiutarci a farci scegliere dai clienti, ma potrebbe anche essere utilizzata per condizionare le loro decisioni, limitandone la libertà di scelta.
Inoltre, occorre sempre tener presente quanto sia fondamentale garantire la protezione dei dati e della privacy degli ospiti.
Il manuale contiene, oltre all’analisi di scenario, anche una rassegna concreta di applicazioni che possono aiutare le imprese a migliorare le proprie performances.
Alcune di esse sono futuribili. Altre sono già disponibili sul mercato.
Ma la nostra bussola rimane sempre l’intelligenza umana, emotiva e relazionale, grazie alla quale continuare a garantire l’essenza del servizio alberghiero, fatto dalle persone per le persone.
Per dirla con le parole dell’autore, se saremo capaci di mantenere la nostra identità, di rimanere “speciali”, l’intelligenza artificiale farà cose speciali per noi.
Altrimenti farà cose uguali per tutti. Semplice automazione.
L'intelligenza artificiale quanto può impattare in un settore economico importante come quello dell’accoglienza turistica? Si parla sempre più spesso di A.I., metaverso, ChatGPT e di quanto stiano cambiando le nostre vite, del problema etico che pongono e se tutta questa innovazione tecnologica ci renderà più liberi o più schiavi, ancora padroni o futuri prigionieri delle macchine. La rivoluzione web è iniziata decenni fa, anche prima del suo debutto ufficiale, nel 1989, quando “Berners-Lee stava creando il World Wide Web, il primo satellite GPS veniva lanciato, nasceva il GameBoy e Intel presentava l’i486, avanzamento talmente significativo nel campo dei micro-processori che ne venne interrotta la produzione soltanto una decina d’anni fa...”. Chi ricorda questi dati è Simone Puorto con We are the Glitch, Flaccovio Editore, prefazione di Giorgio Triani, sociologo e futurologo con cattedra all’Università di Parma.
Il libro s’interroga sulla possibile fusione tra esseri umani e intelligenze artificiali, sulla tecnoetica e sulle realtà sempre nuove di un mondo in continua, velocissima evoluzione. Esplora su come le ultime frontiere dell’innovazione, quali l’A.I., il Web3 e lo spatial computing, stiano forgiando una realtà sempre più "figitale", un nuovo concetto di esistenza che sfida ogni precedente definizione di realtà e identità, spingendo il lettore oltre, in una riflessione filosofica sul futuro che stiamo plasmando.
La riflessione è profonda e avviene attraverso le voci internazionali che l’autore ha voluto ascoltare, per dare al lettore chiavi di comprensione il più possibile varie. Tra i tanti contributi, quello del direttore generale di Federalberghi Alessandro Massimo Nucara, la conversazione con il filosofo Leonardo Caffo, le interviste a personaggi come Louis Rosenberg, pioniere della realtà aumentata per l'Air Force Research Laboratory o Zoltan Istvan, candidato alla presidenza americana con il partito Transumanista e il nesso tra arte e tecnologia con Sasha Stiles, poetessa e ricercatrice A.I. con opere esposte al Kunstmuseum Bern e a Times Square. L’argomento sembra semplice ma non lo è, almeno non per tutti, e un dettagliato glossario aiuta la comprensione. La scrittura è snella, a tratti ironica e quindi il libro riesce a farsi leggere nonostante la materia ostica, è multitasking come la rete e fruibile anche iniziando dal capitolo finale.
Simone Puorto ha una carriera di oltre un quarto di secolo, che va dalla consulenza aziendale alla ricerca accademica, è stato keynote speaker e autore di una dozzina di testi sul rapporto tra tecnologia e travel. È noto, tra le varie cose, per l’organizzazione di Polybius, un evento avanguardistico di 24 ore nel metaverso. Quindi, sa cosa dice e cosa fa, anche quando invita i lettori a non considerare questo libro solo con gli occhi del pragmatismo e nemmeno un manuale di istruzioni, ma di distruzione.
Racconta che a volte è più opportuno fidarsi dei cosiddetti inesperti, quelli che da outsider hanno riscritto le regole del settore e tra gli altri cita Joe Gebbia, co-fondatore di Airbnb, che era un designer per Chronicle Books. Cambiare la prospettiva e guardare in senso sia fisico che metafisico. Et voilà: la provocazione è servita, ma è uno stimolo intelligente, che pone delle domande a tutti noi e a cui bisognerà trovare il coraggio di rispondere. Perché se il futuro è già qui, dovremo capire dove vogliamo andare, se il nostro futuro lo decidiamo noi o una macchina, in che termini e con quali tempistiche. Dovremo rifletterci tutti. Compreso il mondo del turismo.
Sempre più digital friendly. Con i robot che ci ricevono e ci accompagnano in camera. Nel corso dei decenni, l’interazione tra uomo e macchina, o soltanto il chiudere e aprire una porta con un battito di mani, era appannaggio dei libri di fantascienza o di film futuristici, drammatici o commedia che fossero. Era il 1980, quando Alberto Sordi, ad esempio, portò sugli schermi Io e Caterina, film di cui era anche regista. È la storia di un uomo, Enrico che, negli States, si lascia convincere da un amico ad acquistare un robot dalle fattezze femminili, la Caterina del titolo. Robot efficientissimo in cucina e a fare pulizie ma che poi, complice anche la televisione, acquisisce sempre più consapevolezza fino ad arrivare a scenate di gelosia verso il malcapitato padrone, pretendendone il rispetto come se fosse una donna vera. Oppure varie pellicole sulle rivolte dei robot, quelle che ti lasciavano un amaro in bocca quando il termine distopico non esisteva o, ancora, quel film poetico e bellissimo che è L’Uomo Bicentenario, dove l’automa acquisisce coscienza, s’innamora e decide di morire solo quando gli viene concessa la qualità di umano, basato sull’omonimo racconto di Isaac Asimov e con uno strepitoso Robin Williams. Né possiamo poi non citare il top del top, Blade Runner.
Non sappiano se i robot di ultimissima generazione prenderanno "confidenza" come la Caterina del film di Sordi, è però innegabile che l’informatica sforna intelligenze artificiali sempre più raffinate. Per ora ce ne serviamo, poi si vedrà.
In Italia, la robotica negli hotel è ancora ai primi passi nella ricezione degli ospiti, ma è innegabile che, anche nel nostro Paese, la tecnologia ormai fa parte, quando non invade, quasi ogni aspetto delle nostre vite. È quindi normale che anche le strutture ricettive si dotino di sistemi operativi sempre più connessi e interattivi, cosa gradita e spesso richiesta dalla clientela e che contribuisce al business dell’albergo. E se è vero che ogni struttura tende a fare tendenza per se stessa, a offrire quel plus che gli altri non danno per fidelizzare l'utente finale che poi farà conoscere quell’hotel anche con il passaparola, è anche vero che esiste un fil rouge che accomuna le strategie per offrire servizi dedicati agli ospiti, nell’ottica di chi deve mantenere competitività in un settore che è in continua evoluzione. E la tecnologia, coniugata in varie forme, è sicuramente una delle nuove tendenze, intesa anche come sostenibilità.
Va anche detto che tutto questo si è accentuato dopo la pandemia da Covid-19: ci siamo abituati al non contatto, a fare ogni tipo di richiesta attraverso uno schermo e ad apprezzare chi ci ha permesso di poter usufruire di questo tipo di opzioni, che sia una cena ordinata in camera tramite un tablet ad altri servizi prenotati con tecnologia senza contatto e che sono, allo stesso tempo, personalizzati. Già da tempo si può pagare in contactless, oppure interagire con app vocali, ma ormai, ad esempio, molti hotel non usano più le chiavi perché basta un codice memorizzato sullo smartphone per aprire la porta della camera. Check-in più veloci, quindi, compresi quelli tramite riconoscimento facciale. Oggi, tramite apposite app, è possibile chiedere quasi tutto, come la temperatura e il controllo delle luci in camera. Tutto cambia. O forse, per dirla con il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nulla cambia, solo la modalità, non certo la voglia di emozione o la curiosità: se eravamo abituati a muoverci di persona nell’albergo, oggi è possibile farlo sempre più tramite la realtà aumentata, che permette la stessa visita alla struttura ma virtuale e interattiva.
La frontiera del digital friendly va oltre, con i clienti che possono interagire con i chatbot sempre, ogni ora del giorno e della notte. I chatbot, quelli che noi chiamiamo più semplicemente assistenti virtuali, sono quei programmi che usano sia l’intelligenza artificiale sia quella che in gergo tecnico viene chiamato il natural language processing, NLP e, simulando la voce umana, rispondono alle domande dei clienti in forma automatizzata.
Non sempre ce ne rendiamo conto, ma oggi il chatbot è usato praticamente ovunque, dai gestori di telefonia ai messaggi di lavoro. Interagiamo con loro attraverso i nostri telefoni cellulari: Siri di Apple, Alexa di Amazon o Google Assistant i più famosi.
Per quanto riguarda gli alberghi, attraverso il chatbot si può fare check-in e check- out, si può prenotare un ristorante, una gita o una qualsiasi attività. E, vista la velocità di risposta, alcuni siti specializzati ritengono che usando questi programmi la clientela potrebbe essere portata a prenotare di più, generando quindi un maggiore guadagno per la struttura ricettiva e anche un aiuto per il personale, che può sapere in tempo reale se ci sono prenotazioni o se le camere sono a posto.
Il problema che può presentarsi e da tenere presente quando si ha a che fare con un'intelligenza artificiale è quello della privacy, che può essere aggirato distribuendo i chatbot in modo completamente privato. Per entrare nel concreto, abbiamo dimenticato lo spazzolino da denti? Oppure, vogliamo conoscere la distanza dall’hotel di un monumento che vorremmo visitare? Basta chiedere ad Alexa di Amazon che, secondo un sondaggio pubblicato dal gigante dell’e-commerce, è usato dal 75% dei turisti in hotel. Alexa Smart Properties Hospitality è il servizio del chatbot dedicato all’ospitalità e che, si prevede, entro la fine del 2024 avrà un milione di interazioni. L’Italia, del resto, è il secondo Paese dopo gli Stati Uniti per l’adozione di questo sistema vocale, che permette di accedere alla palestra o di conoscere gli orari e le possibilità di un check out, di interagire con il personale dell’hotel o di avere la musica in camera.
Oggi solo due alberghi, in Italia, hanno integrato la domotica ad Alexa: il Best Western Plus Hotel De’ Capuleti di Verona e l’Omama Hotel di Aosta. Grazie alla tecnologia, gli ospiti delle strutture vivono nuove esperienze a portata di voce, con servizi non solo veloci ma anche e soprattutto personalizzati. E, per le strutture ricettive, è un modo per crescere di livello, fare tendenza e accontentare sorprendendola, quindi fidelizzandola, la sempre più esigente clientela italiana e straniera. Benché sia un fenomeno ormai sdoganato in Asia e nelle maggiori città degli Stati Uniti, anche in Italia da qualche anno, accanto ai vari sistemi virtuali e interattivi, negli hotel sono entrati i robot, che sembrano riscuotere molta simpatia da parte della clientela. I robot, secondo la tipologia, accolgono gli ospiti all’ingresso, sono impiegati come maggiordomi, offrono servizio in camera o al ristorante.
A Siracusa, ad esempio, dal 2023 l’albergo One del gruppo Una Hotels ha inserito nello staff i due robot Keenon Dinerbot T5 e Butlerbot W3, alias Lola e Leonard, grazie alla collaborazione con un’azienda specializzata in intelligenza artificiale e tecnologie avanzate dedicate agli hotel. Lola è stata "assunta" per assistere il cameriere, che a sua volta può fornire al cliente un servizio più personalizzato e veloce. Una volta impostato, il robot, secondo le necessità, aiuta anche a sparecchiare il tavolo una volta che gli ospiti hanno terminato il pasto.
Leonard è invece settato per svolgere le funzioni di butler, ossia di maggiordomo ed è in grado di attraversare e percorrere i corridoi, chiamare l’ascensore e affacciarsi in camera, può contattare il cliente o mandargli un messaggio attraverso il telefono e, se ha bisogno di qualcosa, avvisare la reception in tempo reale. Compiendo un rapido volo di gabbiano in giro per il mondo, allo Sheraton san Gabriel di Los Angeles i robot accolgono gli ospiti, li accompagnano a destinazione e smistano i bagagli, mentre all’hotel Jen a Singapore troviamo Jeno e Jen, camerieri esemplari. Altrove cucinano, oppure forniscono biancheria pulita.
Chi vuole proporsi come prototipo per l’albergo del futuro è Alibaba, la piattaforma cinese dell’e-commerce che ad Hangzhou ha aperto FlyZoo Future Hotel, dove un enorme numero di servizi è svolto da intelligenza artificiale e i robot hanno sostituito i camerieri e servono cocktail. In cucina o come addetti alle pulizie ci sono ancora umani in carne e ossa, ma non se ne conosce il numero. Certo, i robot sono attivi sempre, non soffrono fame, sete o sonno, non chiedono aiuto ai sindacati perché non hanno bisogno di stipendio. Sono efficienti, pressoché perfetti. Ma è la bellezza dell’imperfezione umana che fa la differenza. Riusciremo a coniugare la collaborazione tra uomo e robot senza perdere né umanità né posti di lavoro? La nostra natura è socializzare, quindi è probabile.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, su segnalazione di Federalberghi, ha avviato un procedimento istruttorio nei confronti di Booking.com (Italia) Srl, Booking.com B.V. e Booking.com International B.V. per accertare un presunto abuso di posizione dominante nel mercato dei servizi online d’intermediazione e prenotazione di strutture alberghiere, in violazione dell’articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Secondo l’Antitrust italiana, Booking attuerebbe una strategia per ridurre l’autonomia delle strutture alberghiere italiane nel definire i prezzi tra i canali di vendita online. Ne deriverebbero effetti escludenti nel mercato dei servizi online d’intermediazione e di prenotazione.
In particolare, Booking conferirebbe alle strutture alberghiere che fanno parte del Programma Partner Preferiti (e della sua estensione Preferiti Plus) vantaggi in termini di visibilità della propria offerta nei risultati di ricerca, a fronte di commissioni più elevate e dell’impegno a offrire su Booking.com prezzi “competitivi”, ovvero non più elevati di quelli che le strutture applicano sul proprio sito o sulle piattaforme di altre agenzie di viaggio online (il cosiddetto OTA).
Allo stesso tempo, quando il portale riscontra, all’esito di un monitoraggio capillare e sofisticato, che una struttura offre prezzi migliori su altri siti online, Booking si riserva la possibilità di applicare, senza il consenso delle strutture, uno sconto (il cosiddetto Booking Sponsored Benefit) per allineare l'offerta di Booking.com alla migliore tra quelle disponibili online.
Nel suo insieme, secondo l’Autorità, questa strategia sembra idonea a ostacolare lo svolgimento di una concorrenza effettiva nel mercato, quantomeno nazionale, dei servizi online d’intermediazione e prenotazione alberghiera, a danno di altre online travel agencies, con effetti negativi sulle strutture ricettive e, in ultima analisi, sui consumatori in termini di maggiori prezzi e minore scelta nei servizi di intermediazione e prenotazione online. Booking ha dichiarato che sta pienamente collaborando con la Guardia di Finanza e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che hanno svolto ispezioni nelle sedi di Booking.com (Italia) Srl.