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Unioncamere e le Camere di commercio hanno avviato la VII edizione del Premio “Storie di alternanza e competenze”, nato nel 2017 per valorizzare le esperienze di alternanza scuola-lavoro.
Nelle sei edizioni precedenti hanno partecipato quasi 2.500 istituzioni formative e circa 35mila studenti, presentando oltre 3.100 progetti con il supporto di numerose imprese.
Il Premio mira a evidenziare la qualità delle esperienze di alternanza e le competenze acquisite dagli studenti grazie alla collaborazione tra scuole e aziende.
Il concorso prevede la realizzazione di videoracconti dei progetti sviluppati nell’ambito dei Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO) e altre forme di alternanza duale, coinvolgendo Istituti tecnici e professionali, Licei, nonché ITS Academy.
L’edizione di quest’anno si distingue per l’accento su specifiche tematiche come la transizione digitale e l’intelligenza artificiale, la sostenibilità ambientale, le competenze di cittadinanza per lo sviluppo sostenibile, l’inclusione sociale, il turismo e la cultura, l’agroalimentare, la meccatronica, il sistema moda e Made in Italy, l’educazione finanziaria e l’imprenditorialità.
Quattro le categorie in gara: Istituti tecnici (IT) per percorsi PCTO e apprendistato di 1° livello; Istituti professionali (IP) per percorsi PCTO e apprendistato di 1° livello; Licei per percorsi PCTO su competenze di cittadinanza per lo sviluppo sostenibile, educazione finanziaria e imprenditorialità; ITS Academy per tirocinio curriculare e apprendistato di 3° livello.
Sono previste menzioni speciali per settori specifici come la meccatronica, il turismo e l’ospitalità sostenibile.
In tale ambito, Federalberghi ha messo in palio un riconoscimento dedicato ai temi dello sviluppo sostenibile nel contesto turistico e alle soluzioni di intelligenza artificiale. Inoltre, due menzioni speciali saranno dedicate ai Tutor d’Eccellenza, in accordo con il Ministero dell’Istruzione e del Merito.
La premiazione nazionale si terrà durante Job&Orienta, in programma a Verona dal 27 al 30 novembre 2024. Per maggiori informazioni, è possibile consultare il sito www.storiedialternanza.it.
Il direttore d’albergo è una figura apicale nella struttura ricettiva. Ne parliamo con Sara Abdel Masih, grandissima esperienza nel settore avendo diretto, tra gli altri, l’Hotel dei Cavalieri e il The Square, a Milano. Da sempre una pioniera, è l’ideatrice del Sensory Academy Management, progetto dedicato all’apprendimento multisensoriale che coinvolge direttori d’albergo, manager e figure provenienti da altre realtà professionali.
Sara, quale è stato il percorso che ti ha portato in vetta?
È stato il classico percorso di crescita. Ho iniziato da un semplice centralino, seppure all’interno di una struttura molto rinomata a livello mondiale, per poi crescere. Sono sempre stata una ragazza curiosa, con la voglia di capire come funziona il mondo alberghiero, come è strutturato.
E da lì sono passata alle prenotazioni e un po’ per tutti i reparti, per poi arrivare a dirigere le strutture in centro a Milano fino a poco tempo fa.
E cosa ti ha più appassionato del ruolo di direttrice d’albergo?
La cosa che più mi ha appassionato l’ho capita crescendo. Ho capito che le persone fanno la differenza all’interno di una realtà e non il contrario. E sono sempre più appassionata a tutti quegli aspetti legati proprio all’approccio umano e a come riuscire a incentivare, a motivare. Perché dietro i risultati ci sono tutte le persone. Il direttore è un po’ un allenatore, ma poi in campo devono andarci i giocatori. Ecco, mi son sempre più appassionata a questo mondo, fino poi ad amplificare quelle che sono le mie competenze in ambito human. E oggi, più che mai, credo che sia necessario.
Hai parlato di competenze: sicuramente, per un direttore d’albergo, è necessario possedere una solida base di conoscenze. Però sono importanti anche le attitudini. Secondo te quali contano di più?
Credo che non ci sia un vademecum per un direttore. Penso che debba esserci una sensibilità sensoriale, che poi è quella che mi ha permesso, oggi, di sviluppare il mio progetto. Come hai detto tu, le competenze sono assolutamente fondamentali ma non sono solo quelle a essere importanti. Sono utili ma insieme a delle skill legate ai sensi, quindi la capacità di saper osservare, saper ascoltare, saper percepire. Queste, sicuramente, non ti vengono insegnate sul campo, le impari con il tempo, magari grazie a una guida che ti aiuta a capire il vero valore aggiunto di ogni aspetto. Perché, in realtà, noi associamo la vista da una prospettiva ambientale, ma anche umana. La stessa cosa con l’ascolto: saper ascoltare l’ambiente ma allo stesso tempo i collaboratori e anche il cliente finale. Sono tanti aspetti sensoriali. Una sensibilità nei confronti degli altri.
Nella tua esperienza c’è un aneddoto particolare che ha in qualche modo segnato te o la tua carriera?
Ce ne sono vari. Ognuno di loro l’ho sempre trasformato in una lezione. Forse la più significativa è quella che poi mi ha permesso di scrivere un libro, quindi la mia esperienza di approcci culturali poco etici nel mondo lavorativo, quale è il mobbing e da lì, però, riuscire a trasformarlo in una leva potenziante. Ecco, questo per me è un aneddoto del mio percorso che condivido volutamente, proprio per spiegare che dietro ogni difficoltà in realtà c’è un’opportunità. Questa esperienza mi ha permesso anche di essere credibile, riconosciuta e autentica in quello che faccio. Credo che in ogni percorso che un professionista vive ci sono momenti di picco e anche di down. L’essenziale è trasformare i momenti down in grandi opportunità. Questo per me è molto importante.
Il mondo del turismo è sempre in continua evoluzione. Tu come vedi nel futuro la professione del direttore d’albergo?
Mi lego a ciò che ho detto all’inizio: credo che la figura del direttore d’albergo non potrà mai mancare perché è come chiedere a una squadra di calcio di entrare in campo senza un allenatore. Credo che questa figura ci sarà sempre, magari trasformata. L’associazione linguistica della parola “direttore” probabilmente, secondo il mio parere, avrà un’evoluzione. Oggi, si parla moltissimo di leadership. Bene, se vuoi avere la capacità di guidare un team, prima devi avere delle grandi doti di leadership e non quelle lette e messe in campo ma quelle lette, comprese, fatte proprie e poi messe in campo. Credo che prevarrà questo lato più umano. Non che prima non ci fosse: avevamo solo modalità di management totalmente diverse. Oggi, oggettivamente, e lo vediamo dai risultati, si richiede un’attenzione più legata ad aspetti umani emotivi. Questo probabilmente è il futuro.
A un giovane che oggi studia o lavora nel mondo turistico alberghiero e che ha l’ambizione di ricoprire quello che è stato il tuo ruolo, direttore d’albergo, quale consiglio ti senti di dare?
Questa è una domanda che mi mette un po’ in difficoltà. Ti spiego subito il perché: per me c’è un’unica leva che ti aiuta e ti spinge a raggiungere determinati risultati, ed è la parola “sacrificio”. Parola che solitamente suscita una reazione un po’ demotivante, in realtà dovrebbe essere esattamente il contrario, perché sacrificio deriva dalla parola “sacro” e questo è quello che serve se vuoi ambire a raggiungere questo che è sicuramente uno di quei ruoli che ti permette di essere versatile in tanti aspetti. Perché in un albergo non esiste un solo unico reparto che deve raggiungere un risultato, ma sono tanti e questo è il valore aggiunto che il direttore d’albergo può avere: la possibilità di vivere all’interno del contesto. Quindi sacrificio, impegno, costanza e i risultati arrivano e sono gratificanti. Vedere collaboratori che sono cresciuti insieme a me e oggi sono altrettanti direttori d’albergo è una soddisfazione grandissima. Questa è la cosa più bella. La passione mi ha sempre contraddistinta in tutto quello che faccio. Quando vedo il valore umano che riesce a esprimersi sono la persona più felice al mondo.
Nel dinamico settore turistico, attrarre e trattenere i migliori talenti è fondamentale per il successo. In questo scenario, l’assistenza sanitaria integrativa si rivela un elemento strategico per le aziende, offrendo ai dipendenti un benefit tangibile e vantaggioso.
Un’offerta completa di cure mediche non solo migliora la qualità della vita dei lavoratori, ma rappresenta anche un segno di attenzione e cura da parte dell’azienda. Di conseguenza, i dipendenti si sentono valorizzati e più motivati, incrementando il loro senso di appartenenza e la fedeltà all’impresa.
Inoltre, l’assistenza sanitaria integrativa può diventare un importante strumento di differenziazione sul mercato del lavoro, soprattutto in un settore come quello turistico, dove la concorrenza per il personale qualificato è molto alta.
Investire in questo tipo di benefit dimostra la responsabilità sociale dell’azienda e la sua attenzione al benessere dei propri dipendenti, creando un ambiente di lavoro positivo e produttivo.
In definitiva, l’assistenza sanitaria integrativa rappresenta un valore aggiunto per le aziende del settore turistico, con un impatto positivo sulla motivazione, fidelizzazione e prestazioni dei dipendenti, contribuendo al successo a lungo termine dell’impresa.
Per i 2.450 Quadri (valore medio annuo) alle dipendenze delle aziende turistico-ricettive italiane, l’assistenza sanitaria integrativa è fornita dalla Cassa di assistenza sanitaria quadri - QuAS.
Nata nel 1989, su impulso delle parti sociali dei settori terziario e turismo, QuAS è una cassa di derivazione contrattuale; è, quindi, un fondo chiuso destinato esclusivamente ai lavoratori con la qualifica di Quadro, ai quali vengano applicati i CCNL sottoscritti dalle parti sociali dei settori di riferimento.
Per l’iscrizione alla Cassa sono previsti una quota costitutiva una tantum all’atto della prima iscrizione e un contributo annuale, attualmente pari a 390 euro, di cui 340 euro a carico dell’azienda e 50 euro a carico del dipendente.
Le risorse raccolte con la contribuzione sono utilizzate per rimborsare le prestazioni sanitarie secondo una logica di ripartizione e sulla base dei principi di solidarietà, mutualità, uguaglianza.
L’elenco delle prestazioni sanitarie ammesse a rimborso viene deliberato annualmente dal Consiglio direttivo della Cassa e dall’Assemblea dei soci. Il Tariffario nomenclatore QuAS contiene circa 2.600 voci relative a: visite specialistiche, diagnostica specialistica e strumentale, fisioterapia, psicoterapia, degenze e assistenza complementare, interventi chirurgici, accertamenti diagnostici, prestazioni stomatologiche e odontoiatriche, biologia e oncologia molecolare, terapia oncologica, presidi sanitari e protesi, gravidanza sicura e sostegno al neonato, assistenza infermieristica domiciliare, cure termali e rimborso dei ticket sanitari, pacchetti di prevenzione, assistenza alla non autosufficienza, assegno funerario.
Per ottenere i rimborsi delle spese sanitarie, l’iscritto ha a disposizione due modalità:
- assistenza con rimborso all’iscritto: l’assistito gode di piena libertà nella scelta del medico e della struttura sanitaria erogante, sostenendo interamente il costo della prestazione e ottenendo successivamente il rimborso delle spese sostenute, nei limiti previsti dal nomenclatore;
- assistenza con rimborso diretto: questa modalità prevede che QuAS versi direttamente alle strutture sanitarie convenzionate il rimborso spettante per le prestazioni eseguite dagli iscritti, secondo tariffe preventivamente concordate con la Cassa. L’iscritto dovrà sostenere esclusivamente una quota di compartecipazione.
Le esperienze dei professionisti del turismo raccontate in una serie di videointerviste realizzate da Federalberghi sono già online
Competenza, passione e consapevolezza: tre aggettivi che descrivono bene il lavoro negli hotel, che merita di essere raccontato perché può essere un’esperienza entusiasmante sotto vari punti di vista, non ultimo il fatto che il settore offre molte opportunità di avanzamento professionale: una carriera che da receptionist porta a diventare capo ricevimento, per poi salire fino a direttore d'albergo, da chambermaid a housekeeper a room division manager, da commis a maître a food and beverage manager.
E il racconto delle esperienze dei professionisti dell’ospitalità, in prima persona, è la leva per suscitare l’interesse delle giovani generazioni per un percorso di lavoro e di carriera nel settore turistico ricettivo. Questo è l’obiettivo delle undici videointerviste che Federalberghi ha presentato in anteprima a Riva del Garda nell’ambito di Hospitality, il salone dell’accoglienza che quest’anno ha focalizzato l’attenzione sulla People Industry.
Uno strumento che va ad arricchire la “cassetta degli attrezzi” sempre a disposizione delle imprese, per aiutarle ad affrontare la difficoltà nel reperire le risorse umane qualificate.
I contenuti di ogni intervista sono proposti in due differenti format.
Il primo, denominato “Il tempo di un caffè”, ha una durata di un minuto e mezzo ed è fruibile sui canali Instagram e Tik Tok di Federalberghi. Le puntate sono state pubblicate a cadenza settimanale a partire da febbraio, per concludersi in occasione del III Forum su Risorse umane e competenze nel turismo, organizzato da Federalberghi, a Stresa l’11 e il 12 aprile.
La seconda versione, più estesa, è destinata a chi voglia approfondire i contenuti delle singole figure professionali. Tutte le undici interviste complete sono già disponibili sul canale YouTube della federazione. Il progetto, realizzato in collaborazione con l’Ente Bilaterale Nazionale del settore Turismo (EBNT), è partito dopo un’approfondita analisi delle professioni nel settore turismo, analisi che il centro studi di Federalberghi ha svolto con il supporto del Centro di Formazione Management del Terziario (CFMT) e di Azione Ricerca, Territorio e Sviluppo (ARTeS). Sono già migliaia le visualizzazioni, a conferma dell’apprezzamento dell’iniziativa e dell’interesse dei giovani per il lavoro nel settore turistico.
Il bar è uno dei posti più affascinanti di un albergo. Se poi pensiamo al Grand Hotel di Rimini che, solo a parlarne, sembra di sentire nell’aria la colonna sonora di Amarcord, abbiamo evocato tutte quante le caratteristiche dell’ospitalità italiana di grande livello.
Barbara Minichiello, capo barman del Grand Hotel, ci parla delle sue esperienze e di quello che significa, per lei, lavorare in albergo e, specificatamente, nel bar.
Barbara, grazie ancora del tempo che ci dedichi. Puoi raccontarci del tuo percorso professionale all’interno di questa specifica area?
Ho iniziato con i tre anni nella scuola alberghiera nel 1992, mi sono qualificata, come si diceva all’epoca, e poi sono andata a lavorare. Quindi, molta esperienza sul campo e poi ho capito che il bar era esattamente quello che volevo: ho iniziato a specializzarmi in quel settore, dal classico bar di paese, da dove sono partita, fino al 5S lusso, dove sono attualmente. Ho sempre lavorato principalmente in albergo e ho affiancato molti corsi a molta esperienza lavorativa. Questo è stato il mio percorso per arrivare dove sono ora. E sono stati fondamentali i corsi di aggiornamento fatti nel tempo, come quello in “esperto cerimoniale e protocollo nazionale e internazionale”, che con il bar c’entra poco ma con l’albergo c’entra molto.
Qual è la molla che ancora oggi, dopo una grande esperienza, ti spinge a cercare sempre qualcosa in più?
Sicuramente, la passione: mi affascina la conoscenza di tutto quello che c’è dentro un bicchiere. Quello che mi fa svegliare la mattina presto e andare a letto tardi è la riuscita di una cosa fatta molto bene. Un esempio per tutti: un cliente arriva al bancone del bar, è molto stanco ma ha voglia di bere, prova a spiegarti cosa vorrebbe ma non ci riesce bene. Riuscire a comprendere che lui desidera quel tipo di bevanda, fatta in un certo modo, e quando la beve ti guarda e ti dice: “è esattamente quello che volevo”, per me è un’infinita soddisfazione.
Tu ora sei responsabile dei bar dell’albergo e del centro congressi e buona parte dell’operatività è lasciata ai tuoi collaboratori. Trasmettere passione e professionalità, anche questo è importante…
Sì, è importante, anche perché quello che viene insegnato ai ragazzi, oltre la tecnica di lavoro, è la merceologia, cioè la conoscenza del prodotto, fondamentale per noi. Se non sappiamo come è fatto un gin, una vodka o se non conosciamo la differenza tra un liquore e un distillato non riusciamo a fare bene il nostro lavoro. E poi, occorre conoscere bene le nuove tecnologie, che quando ho iniziato non c’erano. Mi son dovuta aggiornare e di conseguenza anche i miei collaboratori, ai quali, il più delle volte, insegno l’old style più che il moderno. Anche perché, nel nostro tipo di struttura, si strizza sempre l’occhio al classico. Un’altra cosa su cui punto molto è l’empatia, ingrediente fondamentale nel nostro mestiere, perché in albergo collaboriamo con almeno cinque, sei reparti diversi dai nostri ma tutti, allo stesso tempo, gestiamo il medesimo cliente. Se non riusciamo a essere empatici tra noi e non collaboriamo, stride. E il cliente lo avverte. Per questo cerco di tirar fuori da tutti la parte migliore del loro vissuto, anche se non è sempre facile.
Nell’immaginario c’è il cliente che si confida con il barman. Hai aneddoti particolari da raccontare?
Ce ne sono moltissimi. Uno che mi è rimasto nel cuore è Simon Le Bon al bancone del bar, che quando ero ragazzina era la star dei Duran Duran. Quando me lo sono trovato davanti sono rimasta impietrita. Ricordo la sua gentilezza nei miei confronti, nel chiedermi se avessi avuto bisogno della sua firma per la consumazione. Gli dissi di sì e dentro di me ridevo, pensando “ho avuto l’autografo di Simon le Bon”.
Cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere la tua professione?
Gli direi di completare la scuola alberghiera, cosa che io ho fatto in un secondo momento, e studiare il più possibile, è la base del nostro mestiere. E dopo lo studio e le prime esperienze con l’alternanza scuola-lavoro, di fare una “scaletta lavorativa”, nel senso di avere un’idea di quello che si vuole fare, se nel target lusso oppure no: vanno benissimo entrambi, ovunque bisogna comunque avere competenze. Però scegliere fin dall’inizio aiuta nella forma mentis della struttura di un certo tipo. E aggiornarsi costantemente. Le possibilità nel nostro settore sono infinite, la differenza la fa la passione che ci metti. E aggiungo che ci vuole tempo per raggiungere gli obiettivi, almeno sei o sette anni, con il massimo dell’impegno. Consiglio, sempre, più esperienze in più campi: anche chi fa bar deve sapere cos’è una cucina, una sala, un room service, un ricevimento. Informazioni che ci aiutano a fare meglio il nostro lavoro, a dare risposte ai clienti, dalla prenotazione del taxi al ristorante. Esorto, anche, a non delegare mai a qualcun altro: al cliente al bar non interessa se quella non è la tua mansione, vuole che gli sia risolto un problema e non costa niente chiamare chi di dovere.
Come vedi il futuro della tua professione?
Il futuro lo vedo buono da un lato e meno buono dall’altro. Nel senso che oggi abbiamo strumenti che tempo fa mancavano. Abbiamo studiato, dal marketing al food & beverage, conosciamo costi e ricavi del bar in un giorno. Una volta i barman avevano un quadro della loro gestione meno completo rispetto a oggi. D’altro canto, da un punto di vista di personale, dico che non siamo stati bravi a formare i più giovani, a motivarli. I ragazzi di oggi dicono: “Tutte quelle ore? Tutta quella fatica?”. è giusto che si facciano dei passi indietro. Ed è un passaggio inevitabile, perché la crisi che stiamo vivendo in questo momento con il personale è un dato di fatto. E solo noi professionisti possiamo fare in modo che i giovani riscoprano la bellezza di questo mestiere: partendo dalla scuola, che per il settore turistico-alberghiero ha un’importanza fondamentale, per poi trasmettere l’amore per questo lavoro e il perché della scelta che si è fatta. Dobbiamo far loro comprendere che se ci si applica, se si mette passione e si seguono le indicazioni, se si studia, i risultati non tarderanno ad arrivare.
Cresce il bisogno di lavoratori nel turismo, ma le imprese faticano a trovare personale, nonostante gli incentivi
Il turismo è un comparto economico importante, caratterizzato da un mercato del lavoro dinamico e inclusivo che, in Italia, ogni anno raggiunge la punta massima nel mese di luglio, quando accoglie più di un milione e mezzo di lavoratori dipendenti.
Il numero di questi collaboratori, negli ultimi dieci anni, è cresciuto del 34,7%, con un grande spazio dato ai giovani, visto che il 58,7% ha meno di quarant’anni. Un lavoro attrattivo anche per le donne, con una percentuale del 52,3% e per i lavoratori stranieri, al 25,6%.
Tuttavia, nonostante la crescita, i numeri sono ancora insufficienti e non sempre le aziende riescono a intercettare tutte le risorse qualificate di cui hanno bisogno.
Con queste considerazioni si è aperto l’intervento di Alessandro Massimo Nucara, Direttore generale di Federalberghi e presidente dell’Ente Bilaterale Nazionale del Turismo, al Forum dell’Hôtellerie organizzato da Zucchetti Hospitality a Riccione. “Non si tratta di una novità in senso assoluto, ma negli ultimi anni il problema è aumentato, sino al caso limite delle imprese che sono state costrette a rinunciare a erogare il servizio. Un paradosso, dopo il periodo terribile della pandemia: riavere finalmente i clienti e doverli mandare via”, ha osservato Nucara, che si è confrontato con gli albergatori sulle ragioni di queste difficoltà e sulle iniziative che le aziende possono adottare per migliorare le capacità di attrarre e trattenere i lavoratori.
Per il Direttore generale di Federalberghi, “le ragioni del disagio sono molte e alcune di queste, come l’invecchiamento della popolazione e il mutamento dei costumi sociali, possono essere migliorate solo mediante interventi di sistema, che non sono alla portata delle singole imprese e per di più non producono effetti immediati.
Gli albergatori, però, hanno la possibili di non subire supinamente la tendenza, possono contrattaccare valorizzando gli aspetti positivi del lavoro in hotel e utilizzando tutte le risorse disponibili: dal trattamento retributivo al welfare, alla conciliazione tra i tempi di vita e i tempi di lavoro, alla formazione, ai canali di reclutamento”.
Tra gli esempi elencati da Nucara, l’importanza della relazione tra il mondo delle imprese e il sistema dell’istruzione e della formazione: “Da anni andiamo nelle scuole, non solo in quelle alberghiere, per raccontare le opportunità che offre il nostro settore. Il progetto è realizzato con il supporto operativo dei comitati dei giovani albergatori, per fare in modo che i coetanei dialoghino tra loro. Giovani a cui ci rivolgiamo anche attraverso i canali social, per informarli che, con il giusto mix di passione e competenza, il lavoro in hotel può essere il più bello del mondo. Inoltre, la collaborazione tra le associazioni di albergatori e le scuole non si limita alle visite periodiche. Collaboriamo alla progettazione didattica. I nostri imprenditori vanno in aula a far lezione. I ragazzi vengono in azienda a imparare il mestiere sul campo”, ha proseguito Nucara, ricordando che “la formazione non è solo quella che si fa a scuola”. In questo momento, ad esempio, sono attivi due bandi del fondo Forte, che contengono strumenti appositamente dedicati alla formazione dei lavoratori stagionali, anche prima della loro assunzione, con una dote cospicua di circa venti milioni di euro. Nucara ha inoltre elencato gli strumenti di welfare offerti dalla contrattazione collettiva, con una rete di protezione che va ben oltre il trattamento economico e comprende assistenza sanitaria integrativa, previdenza complementare, formazione continua e sostegno al reddito, oltre che le convenzioni attivate dalla stessa Federalberghi in favore dei dipendenti degli hotel, con la possibilità di usufruire di trattamenti agevolati sulle bollette del gas, dell’energia elettrica e sull’assicurazione per la casa, l’automobile o il motorino, concludendo che “si tratta di esempi interessanti, che meritano di essere conosciuti, ma quel che più importa è raccontare la filosofia che li anima, prendersi cura del lavoratore anche fuori dal luogo e dal rapporto di lavoro”.
Da vari studi di settore emerge che la maggior parte dei giovani vorrebbe lavorare e fare carriera, ma anche gestire il proprio tempo libero e che non ha molta fiducia nelle opportunità offerte dal "sistema Italia". Il comparto turistico, invece, offre tutto questo. Informazione e formazione dovranno continuare a essere le due linee guida su cui puntare per far capire ai ragazzi che l’impiego in questo settore non è solo impegno, ma anche privilegio.
Dal Fondo tanti servizi per rendere più appetibile il lavoro nel turismo
La trasformazione del lavoro, in corso ormai da diversi anni, è determinata da un complesso insieme di cause. Spesso si tende a concentrare l’attenzione e l’analisi soprattutto sull’impatto della tecnologia sui mercati del lavoro, ma i dati relativi all’andamento demografico mostrano come questo fenomeno possa determinare effetti ancora più marcati.
Nello specifico del settore turismo, in poco più di dieci anni il peso percentuale degli occupati ultracinquantenni è aumentato del 70%. L’invecchiamento della popolazione e il prolungamento della permanenza in servizio dei lavoratori, generata anche dalle modifiche ai sistemi previdenziali, introducono sempre più come nuova priorità nell’impresa il tema della salute e dell’assistenza sanitaria.
Il Fondo di assistenza sanitaria integrativa per i dipendenti di aziende del settore Turismo (FAST) è uno degli strumenti di welfare contrattuale previsti dal CCNL Turismo e ha lo scopo di garantire ai lavoratori iscritti trattamenti di assistenza sanitaria integrativa.
L’obiettivo del Fondo è il miglioramento della qualità delle condizioni d’impiego nel settore, limitando l’impatto dei relativi oneri sul costo del lavoro, grazie al regime contributivo e fiscale agevolato previsto per i fondi di assistenza sanitaria.
Devono essere iscritti i lavoratori dipendenti di aziende alberghiere, assunti a tempo indeterminato (a esclusione dei quadri) con contratto a tempo pieno o parziale e gli apprendisti.
Il contributo annuale al Fondo per ciascun dipendente è di 144 euro, di cui 120 euro a carico del datore di lavoro e 24 euro a carico del lavoratore.
Il piano sanitario del fondo FAST prevede l’erogazione di prestazioni di diagnostica e terapia, visite specialistiche, rimborso ticket sanitari per accertamenti diagnostici e pronto soccorso, pacchetto maternità, protesi/ausili medici ortopedici, trattamenti fisioterapici riabilitativi, prestazioni odontoiatriche, prestazioni di implantologia, avulsione dentale, ricovero per intervento chirurgico, assistenza a familiari non autosufficienti (long term care), pacchetto prevenzione per persone con sindrome di Down, vaccini antinfluenzali, trattamenti di procreazione medicalmente assistita e lenti da vista.
Per la fruizione delle prestazioni, l’assistito può scegliere tra diverse modalità: presso strutture sanitarie private, convenzionate o non convenzionate, prestazioni nel servizio sanitario nazionale e professione intramuraria.
Il sito internet del Fondo (www.fondofast.it) consente l’iscrizione e la gestione delle posizioni individuali di imprese e lavoratori. Sono inoltre disponibili tutte le informazioni aggiornate sulle prestazioni erogate, le novità, i recapiti per contattare gli uffici del Fondo e ogni altro tipo di indicazione necessaria per l’utilizzo dei servizi disponibili.
Tutti lo sanno: il 2019 è stato per il turismo italiano l’anno dei record: mai così tanti pernottamenti nella nostra penisola. Ma forse non tutti sanno che l’anno precedente a quello della pandemia è stato anche quello in cui ci sono stati più lavoratori nel settore turistico (comprendendo in questo: gli esercizi ricettivi, i pubblici esercizi, l’intermediazione, gli stabilimenti termali e i parchi divertimento).
Nel 2019, infatti, gli occupati nel turismo sono stati in media 1.300.512, con un aumento rispetto al 2018 del 4,7%. Con il covid purtroppo si è ben presto invertita la rotta, ma il 2022 (ultimo anno per cui sono al momento disponibili i dati sul lavoro dipendente dell’INPS) ha visto quasi raggiungere tale valore. “Quasi” perché nel 2022 sono stati impiegati nel turismo in media 1.289.718 lavoratori in 197.792 aziende. Siamo, quindi ancora distanti del -0,8% dal 2019.
Ma chi sono questi lavoratori? Ebbene, il turismo dà lavoro a quelle categorie solitamente ritenute più svantaggiate: giovani (quasi il 60% dei dipendenti ha meno il 40 anni, che si traduce in un’età media di 37 anni), donne (52%) e stranieri (26%).
Per quanto riguarda, invece, le tipologie contrattuali la stragrande maggioranza dei dipendenti da aziende del settore turismo in Italia ha la qualifica di operaio (83,2%). Gli impiegati rappresentano il 9,4% dei lavoratori, mentre gli apprendisti sono pari al 6,9% del totale. Infine, dirigenti e quadri rappresentano, insieme, lo 0,5% del totale.
Per quanto riguarda l’orario di lavoro, il 52,1% dei dipendenti ha un contratto di lavoro a tempo parziale.
Oltre la metà dei lavoratori (55%) ha un contratto a tempo indeterminato. I contratti a tempo determinato stipulati per ragioni di stagionalità rappresentano il 17,7% del totale, mentre quelli non stagionali sono il 26,6%. La forte percentuale di contratti a tempo determinato, stagionali o meno, risiede nella natura stessa del mercato turistico: ha un andamento della domanda che varia nel corso dell’anno con dei picchi che sono diversi da destinazione a destinazione. La diretta conseguenza è che anche la richiesta di lavoro non sarà costante nei diversi mesi dell’anno, ma seguirà la domanda turistica. Infatti, i valori massimi e minimi di occupazione si trovano a luglio e febbraio, con rispettivamente 1.572.591 e 1.032.152 dipendenti. Proprio per questo motivo, quando si quantificano i dipendenti di questo settore si parla di medie.
Oltretutto la pandemia ha accentuato la stagionalità e creato una forte disparità. Prendendo come esempio gli esercizi ricettivi: se nel 2019 la differenza tra valore di occupazione minimo e massimo era del 203%, nel 2020 è diventato del 450%, per poi calare leggermente al 396% nel 2021. Nel 2022 tale valore si è attestato sul 236%. Le categorie di lavoratori a risentirne maggiormente sono apprendisti e operai, mentre tra gli impiegati la stagionalità dell’occupazione è altrettanto presente ma risulta diluita su un più ampio arco temporale.
Passando poi ad analizzare i singoli comparti, il 76,5% dell’occupazione dipendente media annua nel settore turismo in Italia è concentrata nel comparto dei pubblici esercizi. I servizi ricettivi occupano il 20,8% dei dipendenti. Contenuto è il contributo dell’intermediazione (2%), degli stabilimenti termali (0,5%) e dei parchi divertimento (0,1%). Se guardiamo invece alla dimensione delle aziende, a fronte di una media settoriale di 6,5 dipendenti per azienda, il comparto con il valore maggiore è quello degli stabilimenti termali (28,2 dipendenti per azienda), seguito dai servizi ricettivi (9,7), dai parchi divertimento (8,1), dai pubblici esercizi (5,9) e dall’intermediazione (5,4).
Anche nella dimensione media possiamo vedere gli effetti della stagionalità: l’irrobustimento della base occupazionale nei mesi estivi e del numero delle aziende operative, porta la dimensione media a 7,2 dipendenti per azienda a giugno e luglio (picco massimo), mentre il valore minimo (5,7) si registra a febbraio.
Anna Chiara Olini
“Provengo da una famiglia che si occupa di ristorazione da 185 anni, sono alla quinta generazione e ho iniziato a 14 anni. Da lì sono partito, studiavo, sabato e domenica davo una mano e poi ho cominciato a fare esperienze all’estero, dagli anni ’80: moltissime in Francia, compresa la scuola di Lenôtre a Parigi, e negli Stati Uniti a Los Angeles, poi sono tornato e ho iniziato a lavorare seriamente nel ristorante di famiglia”.
Davide Brovelli, proprietario dell’Hotel ristorante “Il Sole di Ranco” sul Lago Maggiore, racconta il suo percorso nel mondo della ristorazione e ospitalità in un’amichevole chiacchierata con Angelo Candido, Capo Servizio sindacale Federalberghi. L’intervista fa parte degli 11 video realizzati dalla Federazione e disponibili sul suo canale Youtube.
Quella di Brovelli è una storia d’amore per il proprio lavoro, di cui non nasconde né soddisfazioni né criticità.
Quando gli viene chiesto cosa lo spinga, dopo tanti anni, a studiare ancora e ricercare di rinnovarsi sempre, lo chef parla di “una fiamma che hai dentro e che ti spinge a cercare di migliorarti sempre di più. Quindi, trovare soluzioni e nuovi piatti, secondo me, è una cosa molto divertente e bella. Tutti i giorni una vita diversa, ingredienti nuovi che tu devi combinare. La cosa fondamentale, per me, è avere una passione per il cibo, perché da lì parte tutto. E poi la creatività, che è una dote molto importante per miscelare i vari ingredienti, di cui comunque è fondamentale la conoscenza. E questo ti viene con lo studio”.
Lo studio è fondamentale per acquisire le competenze e scoprire se si hanno le attitudini giuste. Perché se è vero che parliamo di un lavoro che porta tante soddisfazioni, è altrettanto vero che imparare l’arte richiede i suoi tempi. E anche sacrificio.
Devi fare una scuola alberghiera. Le basi sono fondamentali. E poi, per far funzionare una cucina, ci vuole organizzazione: è inutile inventarsi un piatto complicato se poi non si riesce a servirlo a tavola, con le persone che aspettano vi sono dei tempi da rispettare. E ci vuole abilità anche nel completare e servire dei piatti perfetti ma diversi e contemporaneamente. Tutto deve essere una linea ben organizzata. E deve funzionare con tempi ben precisi. Senza dimenticare l’igiene alimentare, importantissima.
È vero, da fuori non ci si rende conto di cosa voglia dire gestire una cucina. Pensiamo che al primo posto ci sia ispirazione e creatività, mentre è l’organizzazione che permette di esprimere le prime due. Ci racconti la sua esperienza, magari un aneddoto rivelatore.
Vent’anni fa, in un’esperienza a Tobago, ai Caraibi, con un collega dovevamo cucinare per 250 persone, tutti italiani in un villaggio turistico. Lavoravamo solo la sera, il resto della giornata era libero. Un giorno abbiamo deciso di fare un giro sull’isola. Siamo partiti con orari ben precisi perché dovevamo rientrare per le 17.00, per organizzare la cena. La macchina si è rotta, siamo rimasti a piedi e siamo tornati due ore dopo. Lo chef di Tobago ci ha detto di stare tranquilli: aveva organizzato tutto lui. Premetto che noi avevamo portato ravioli e pasta fresca dall’Italia, con un cargo. Questo chef voleva aiutarci. Quindi, cosa ha fatto? Ha riempito una pentola con acqua fredda, l’ha salata, vi ha aggiunto i ravioli e li ha infilati nel forno. È per questo che dico che ci vogliono delle basi fondamentali, perché se ti capitano cose del genere devi saperle gestire. Non puoi non sapere che la pasta la devi far bollire in acqua bollente salata. Fu un disastro. Siamo riusciti a servire tutti quanti per le 21.30. É un esempio, ma in cucina ne succedono di tutti i colori tutti i giorni, quindi devi avere il sangue freddo per riuscire a controllare e sistemare ogni cosa al volo, perché le tempistiche sono molto veloci e la gente non può aspettare.
Questa conversazione è indirizzata principalmente ai giovani, a quelli che decideranno d’intraprendere una carriera professionale nel turismo, nel caso specifico la ristorazione. Ha suggerimenti per chi frequenta un istituto alberghiero o è già dentro una formazione secondaria professionale di tipo turistico?
La cosa fondamentale di questo lavoro penso sia l’umiltà, insieme alla passione. In questo momento il problema è che un ragazzo frequenta due anni di cucina in una scuola alberghiera e pensa di essere un grande chef. Non è così che funziona. Sono importantissimi l’umiltà, il lavoro duro e lo studio. Sono fondamentali per avere una base ben solida per il futuro: s’inizia sempre dalla base e poi pian piano si cresce. Puoi diventare tranquillamente uno chef declinato in ogni grado, le possibilità sono infinite. Quel che questo lavoro ti dà è proprio il fatto di partire da zero e arrivare ad alti livelli, anche in cucine estere importanti. Però il lavoro sodo, duro, ci vuole, perché è una qualifica importante per arrivare lontano.
Quale sarà il futuro della ristorazione, la sua evoluzione e cosa deve aspettarsi una persona che inizia adesso in termini di professionalità e tipologia di offerta?
Ormai si va verso una cucina sostenibile e bisogna adottare delle buone pratiche in tal senso, con la riduzione dello spreco alimentare e la scelta di ingredienti e prodotti locali e stagionali.
Anche perché, poi, è comunque necessario utilizzare una materia prima a basso costo, non si può servire un piatto facendolo pagare oltre 50 euro, altrimenti il cliente non torna più.
Questo è fondamentale: occorre ridurre i costi per dare un piatto accessibile al cliente.
Senza contare che la cucina può anche educare alla genuinità e, quindi, al benessere.
Io, nel mio piccolo, mi sono creato un orto e coltivo le mie verdure. Quindi, cerco di dare un prodotto sempre molto fresco e super garantito. Per le carni, allo stesso modo, cerco di acquistarle locali, da fattorie vicino a noi e altrettanto garantite, con una filiera ben precisa. Lo stesso per il pesce, di lago e controllato. E poi, soprattutto, nella cucina, con le nuove cotture, si cerca di eliminare completamente dei condimenti non idonei. Una volta si faceva il risotto con tanto burro, ora ci sono altre tecniche e soluzioni: ad esempio, il riso viene tostato a secco e poi bagnato con un vino freddissimo, da freezer: il chicco si apre e rilascia molto più amido e questo ci permette di avere una mantecatura che sembra fatta con tantissimo burro, che però non c’è. La cucina è sempre in continua evoluzione.
In questa fase storica di difficoltà di reperimento di collaboratori specializzati, cogliere l’importanza della formazione e la centralità che hanno le specifiche competenze per il nostro settore rappresenta un elemento essenziale per l’Hotellerie italiana chiamata ad affrontare sempre nuove sfide di mercato.
La consapevolezza dell’importanza delle conoscenze e delle competenze necessarie per le risorse umane nel nostro settore, ha spinto il Comitato Nazionale dei Giovani Albergatori di Federalberghi a organizzare una visita presso la Swiss Education Group di Montreux.
SEG è una delle più prestigiose scuole alberghiere svizzere e offre una formazione manageriale d'eccellenza per una carriera internazionale di successo, attraverso corsi di Business Administration, Hospitality Management e quello sulle Arti Culinarie.
L’incontro, svoltosi dal 3 al 5 marzo, è il secondo appuntamento con il gruppo SEG, a dimostrazione del legame con questa scuola di eccellenza e l’interesse dei giovani albergatori a conoscere esperienze internazionali di formazione.
I giovani albergatori hanno visitato le diverse strutture della scuola, i laboratori e i sistemi di accoglienza per gli studenti e approfondire i vari tipi di offerta formativa proposta da SEG.
Il gruppo ha svolto tre momenti formativi in lingua inglese con alcuni prestigiosi docenti della scuola sui temi dell’innovazione e del team working e hanno avuto anche l’occasione di incontrare, presso la Culinary Arts Academy Switzerland, lo Chef Anton Mosimann, chef per numerosi Primi Ministri Inglesi e per la Royal Family.
Il meeting non ha avuto solo una finalità formativa, ma ha anche rappresentato un momento di conoscenza di esperienze di eccellenza internazionale che possono essere di ispirazione e di supporto anche nel delicato e strategico rapporto con le scuole italiane.