Questi gli ingredienti fondamentali di Davide Brovelli per arrivare lontano.
Senza mai dimenticare studio, organizzazione e alimenti genuini.
"Provengo da una famiglia che si occupa di ristorazione da 185 anni, sono alla quinta generazione e ho iniziato a 14 anni. Da lì sono partito, studiavo, sabato e domenica davo una mano e poi ho cominciato a fare esperienze all’estero, dagli anni ’80: moltissime in Francia, compresa la scuola di Lenôtre a Parigi, e negli Stati Uniti a Los Angeles, poi sono tornato e ho iniziato a lavorare seriamente nel ristorante di famiglia”.
Davide Brovelli, proprietario dell’Hotel ristorante “Il Sole di Ranco” sul Lago Maggiore, racconta il suo percorso nel mondo della ristorazione e ospitalità in un’amichevole chiacchierata con Angelo Candido, Capo Servizio sindacale Federalberghi. L’intervista fa parte degli 11 video realizzati dalla Federazione e disponibili sul suo canale Youtube.
Quella di Brovelli è una storia d’amore per il proprio lavoro, di cui non nasconde né soddisfazioni né criticità.
Quando gli viene chiesto cosa lo spinga, dopo tanti anni, a studiare ancora e ricercare di rinnovarsi sempre, lo chef parla di “una fiamma che hai dentro e che ti spinge a cercare di migliorarti sempre di più. Quindi, trovare soluzioni e nuovi piatti, secondo me, è una cosa molto divertente e bella. Tutti i giorni una vita diversa, ingredienti nuovi che tu devi combinare. La cosa fondamentale, per me, è avere una passione per il cibo, perché da lì parte tutto. E poi la creatività, che è una dote molto importante per miscelare i vari ingredienti, di cui comunque è fondamentale la conoscenza. E questo ti viene con lo studio”.
Lo studio è fondamentale per acquisire le competenze e scoprire se si hanno le attitudini giuste. Perché se è vero che parliamo di un lavoro che porta tante soddisfazioni, è altrettanto vero che imparare l’arte richiede i suoi tempi. E anche sacrificio.
Devi fare una scuola alberghiera. Le basi sono fondamentali. E poi, per far funzionare una cucina, ci vuole organizzazione: è inutile inventarsi un piatto complicato se poi non si riesce a servirlo a tavola, con le persone che aspettano vi sono dei tempi da rispettare. E ci vuole abilità anche nel completare e servire dei piatti perfetti ma diversi e contemporaneamente. Tutto deve essere una linea ben organizzata. E deve funzionare con tempi ben precisi. Senza dimenticare l’igiene alimentare, importantissima.
È vero, da fuori non ci si rende conto di cosa voglia dire gestire una cucina. Pensiamo che al primo posto ci sia ispirazione e creatività, mentre è l’organizzazione che permette di esprimere le prime due. Ci racconti la sua esperienza, magari un aneddoto rivelatore.
Vent’anni fa, in un’esperienza a Tobago, ai Caraibi, con un collega dovevamo cucinare per 250 persone, tutti italiani in un villaggio turistico. Lavoravamo solo la sera, il resto della giornata era libero. Un giorno abbiamo deciso di fare un giro sull’isola. Siamo partiti con orari ben precisi perché dovevamo rientrare per le 17.00, per organizzare la cena. La macchina si è rotta, siamo rimasti a piedi e siamo tornati due ore dopo. Lo chef di Tobago ci ha detto di stare tranquilli: aveva organizzato tutto lui. Premetto che noi avevamo portato ravioli e pasta fresca dall’Italia, con un cargo. Questo chef voleva aiutarci. Quindi, cosa ha fatto? Ha riempito una pentola con acqua fredda, l’ha salata, vi ha aggiunto i ravioli e li ha infilati nel forno. È per questo che dico che ci vogliono delle basi fondamentali, perché se ti capitano cose del genere devi saperle gestire. Non puoi non sapere che la pasta la devi far bollire in acqua bollente salata. Fu un disastro. Siamo riusciti a servire tutti quanti per le 21.30. É un esempio, ma in cucina ne succedono di tutti i colori tutti i giorni, quindi devi avere il sangue freddo per riuscire a controllare e sistemare ogni cosa al volo, perché le tempistiche sono molto veloci e la gente non può aspettare.
Questa conversazione è indirizzata principalmente ai giovani, a quelli che decideranno d’intraprendere una carriera professionale nel turismo, nel caso specifico la ristorazione. Ha suggerimenti per chi frequenta un istituto alberghiero o è già dentro una formazione secondaria professionale di tipo turistico?
La cosa fondamentale di questo lavoro penso sia l’umiltà, insieme alla passione. In questo momento il problema è che un ragazzo frequenta due anni di cucina in una scuola alberghiera e pensa di essere un grande chef. Non è così che funziona. Sono importantissimi l’umiltà, il lavoro duro e lo studio. Sono fondamentali per avere una base ben solida per il futuro: s’inizia sempre dalla base e poi pian piano si cresce. Puoi diventare tranquillamente uno chef declinato in ogni grado, le possibilità sono infinite. Quel che questo lavoro ti dà è proprio il fatto di partire da zero e arrivare ad alti livelli, anche in cucine estere importanti. Però il lavoro sodo, duro, ci vuole, perché è una qualifica importante per arrivare lontano.
Quale sarà il futuro della ristorazione, la sua evoluzione e cosa deve aspettarsi una persona che inizia adesso in termini di professionalità e tipologia di offerta?
Ormai si va verso una cucina sostenibile e bisogna adottare delle buone pratiche in tal senso, con la riduzione dello spreco alimentare e la scelta di ingredienti e prodotti locali e stagionali. Anche perché, poi, è comunque necessario utilizzare una materia prima a basso costo, non si può servire un piatto facendolo pagare oltre 50 euro, altrimenti il cliente non torna più. Questo è fondamentale: occorre ridurre i costi per dare un piatto accessibile al cliente.
Senza contare che la cucina può anche educare alla genuinità e, quindi, al benessere.
Io, nel mio piccolo, mi sono creato un orto e coltivo le mie verdure. Quindi, cerco di dare un prodotto sempre molto fresco e super garantito. Per le carni, allo stesso modo, cerco di acquistarle locali, da fattorie vicino a noi e altrettanto garantite, con una filiera ben precisa, lo stesso per il pesce, di lago e controllato. E poi, soprattutto, nella cucina, con le nuove cotture, si cerca di eliminare completamente dei condimenti non idonei. Una volta si faceva il risotto con tanto burro, ora ci sono altre tecniche e soluzioni: ad esempio, il riso viene tostato a secco e poi bagnato con un vino freddissimo, da freezer: il chicco si apre e rilascia molto più amido e questo ci permette di avere una mantecatura che sembra fatta con tantissimo burro, che però non c’è. La cucina è sempre in continua evoluzione.