Studio e tanta empatia. Incontro con Barbara Minichiello, capo barman dello storico Grand Hotel di Rimini

Il bar è uno dei posti più affascinanti di un albergo. Se poi pensiamo al Grand Hotel di Rimini che, solo a parlarne, sembra di sentire nell’aria la colonna sonora di Amarcord, abbiamo evocato tutte quante le caratteristiche dell’ospitalità italiana di grande livello.

Barbara Minichiello, capo barman del Grand Hotel, ci parla delle sue esperienze e di quello che significa, per lei, lavorare in albergo e, specificatamente, nel bar.

 

Barbara, grazie ancora del tempo che ci dedichi. Puoi raccontarci del tuo percorso professionale all’interno di questa specifica area?

Ho iniziato con i tre anni nella scuola alberghiera nel 1992, mi sono qualificata, come si diceva all’epoca, e poi sono andata a lavorare. Quindi, molta esperienza sul campo e poi ho capito che il bar era esattamente quello che volevo: ho iniziato a specializzarmi in quel settore, dal classico bar di paese, da dove sono partita, fino al 5S lusso, dove sono attualmente. Ho sempre lavorato principalmente in albergo e ho affiancato molti corsi a molta esperienza lavorativa. Questo è stato il mio percorso per arrivare dove sono ora. E sono stati fondamentali i corsi di aggiornamento fatti nel tempo, come quello in “esperto cerimoniale e protocollo nazionale e internazionale”, che con il bar c’entra poco ma con l’albergo c’entra molto.

Qual è la molla che ancora oggi, dopo una grande esperienza, ti spinge a cercare sempre qualcosa in più?

Sicuramente, la passione: mi affascina la conoscenza di tutto quello che c’è dentro un bicchiere. Quello che mi fa svegliare la mattina presto e andare a letto tardi è la riuscita di una cosa fatta molto bene. Un esempio per tutti: un cliente arriva al bancone del bar, è molto stanco ma ha voglia di bere, prova a spiegarti cosa vorrebbe ma non ci riesce bene. Riuscire a comprendere che lui desidera quel tipo di bevanda, fatta in un certo modo, e quando la beve ti guarda e ti dice: “è esattamente quello che volevo”, per me è un’infinita soddisfazione.

 

Tu ora sei responsabile dei bar dell’albergo e del centro congressi e buona parte dell’operatività è lasciata ai tuoi collaboratori. Trasmettere passione e professionalità, anche questo è importante…

Sì, è importante, anche perché quello che viene insegnato ai ragazzi, oltre la tecnica di lavoro, è la merceologia, cioè la conoscenza del prodotto, fondamentale per noi. Se non sappiamo come è fatto un gin, una vodka o se non conosciamo la differenza tra un liquore e un distillato non riusciamo a fare bene il nostro lavoro. E poi, occorre conoscere bene le nuove tecnologie, che quando ho iniziato non c’erano. Mi son dovuta aggiornare e di conseguenza anche i miei collaboratori, ai quali, il più delle volte, insegno l’old style più che il moderno. Anche perché, nel nostro tipo di struttura, si strizza sempre l’occhio al classico. Un’altra cosa su cui punto molto è l’empatia, ingrediente fondamentale nel nostro mestiere, perché in albergo collaboriamo con almeno cinque, sei reparti diversi dai nostri ma tutti, allo stesso tempo, gestiamo il medesimo cliente. Se non riusciamo a essere empatici tra noi e non collaboriamo, stride. E il cliente lo avverte. Per questo cerco di tirar fuori da tutti la parte migliore del loro vissuto, anche se non è sempre facile.

Nell’immaginario c’è il cliente che si confida con il barman. Hai aneddoti particolari da raccontare?

Ce ne sono moltissimi. Uno che mi è rimasto nel cuore è Simon Le Bon al bancone del bar, che quando ero ragazzina era la star dei Duran Duran. Quando me lo sono trovato davanti sono rimasta impietrita. Ricordo la sua gentilezza nei miei confronti, nel chiedermi se avessi avuto bisogno della sua firma per la consumazione. Gli dissi di sì e dentro di me ridevo, pensando “ho avuto l’autografo di Simon le Bon”.

 

Cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere la tua professione?

Gli direi di completare la scuola alberghiera, cosa che io ho fatto in un secondo momento, e studiare il più possibile, è la base del nostro mestiere. E dopo lo studio e le prime esperienze con l’alternanza scuola-lavoro, di fare una “scaletta lavorativa”, nel senso di avere un’idea di quello che si vuole fare, se nel target lusso oppure no: vanno benissimo entrambi, ovunque bisogna comunque avere competenze. Però scegliere fin dall’inizio aiuta nella forma mentis della struttura di un certo tipo. E aggiornarsi costantemente. Le possibilità nel nostro settore sono infinite, la differenza la fa la passione che ci metti. E aggiungo che ci vuole tempo per raggiungere gli obiettivi, almeno sei o sette anni, con il massimo dell’impegno. Consiglio, sempre, più esperienze in più campi: anche chi fa bar deve sapere cos’è una cucina, una sala, un room service, un ricevimento. Informazioni che ci aiutano a fare meglio il nostro lavoro, a dare risposte ai clienti, dalla prenotazione del taxi al ristorante. Esorto, anche, a non delegare mai a qualcun altro: al cliente al bar non interessa se quella non è la tua mansione, vuole che gli sia risolto un problema e non costa niente chiamare chi di dovere.

 

Come vedi il futuro della tua professione?

Il futuro lo vedo buono da un lato e meno buono dall’altro. Nel senso che oggi abbiamo strumenti che tempo fa mancavano. Abbiamo studiato, dal marketing al food & beverage, conosciamo costi e ricavi del bar in un giorno. Una volta i barman avevano un quadro della loro gestione meno completo rispetto a oggi. D’altro canto, da un punto di vista di personale, dico che non siamo stati bravi a formare i più giovani, a motivarli. I ragazzi di oggi dicono: “Tutte quelle ore? Tutta quella fatica?”. è giusto che si facciano dei passi indietro. Ed è un passaggio inevitabile, perché la crisi che stiamo vivendo in questo momento con il personale è un dato di fatto. E solo noi professionisti possiamo fare in modo che i giovani riscoprano la bellezza di questo mestiere: partendo dalla scuola, che per il settore turistico-alberghiero ha un’importanza fondamentale, per poi  trasmettere l’amore per questo lavoro e il perché della scelta che si è fatta. Dobbiamo far loro comprendere che se ci si applica, se si mette passione e si seguono le indicazioni, se si studia, i risultati non tarderanno ad arrivare.







Pubblicato il 06/25/24