Il turismo delle radici

                                                                            Il turismo delle radici

Ogni anno, dagli 8 ai 10 milioni di stranieri di origine italiana fanno un viaggio nel nostro Paese, con una spesa complessiva di circa 8 miliardi di euro

Gli italiani residenti all’estero sono 6 milioni. Il dato sale a 80 milioni se si considerano anche i discendenti e a 260 milioni se includiamo tutti coloro che hanno, a vario titolo, un lontano legame di parentela o in qualche modo si sentono vicini al nostro Paese.

Molti di loro ogni anno vengono in Italia alla ricerca della loro storia familiare, alla riscoperta dei luoghi di nascita dei nonni di cui portano il cognome o dai quali hanno imparato qualche parola, spesso in dialetto. Le motivazioni del viaggio sono di vario genere, dalle visite ai parenti all’interesse generale per l’Italia, per il nostro cibo o la cultura.

È il viaggio a ritroso dei pronipoti dei nostri emigranti italiani, che furono protagonisti di un esodo massiccio verso le Americhe, l’Australia e altri Paesi europei, soprattutto da fine Ottocento ai primi decenni del Novecento.

Questo particolare tipo di viaggiatore ha un’età media compresa tra i 40 e i 60 anni, si muove in coppia o in famiglia, il suo soggiorno in Italia ha una durata media di 12-15 giorni, con un budget fra i 3mila e i 5mila euro comprensivo di volo, soggiorno, pasti, trasporti e attività. Privilegia soggiorni in piccoli hotel, B&B o case vacanza nei borghi di origine. Vuole esperienze autentiche: dalla visita ai luoghi dove tutto è iniziato all’enogastronomia tipica, e spesso si affida a percorsi organizzati per ricostruire il passato della propria famiglia.

Si stima che questo segmento costituisca il 15% sulla spesa complessiva degli stranieri in Italia, realizzando un’interessante opportunità per l’economia del turismo.

Proprio per questo, il 2024 è stato decretato dal ministero degli Esteri “Anno delle radici italiane”, con progetto immesso nel Pnrr, a cui è stato destinato un importo complessivo di 20 milioni di euro e presentato, tra gli altri, all’ITB Berlino dell’anno scorso nello stand ENIT.

Tutte le regioni italiane hanno vissuto, chi più e chi meno, il fenomeno dell’emigrazione e per questo c’è stata una risposta in massa al decreto ministeriale. Sono 840 gli enti locali italiani che hanno aderito all’iniziativa e in tutto il Paese, da nord a sud.

Solo in Molise, ad esempio, sono stati 76 i comuni ammessi al finanziamento, una partecipazione del 59%, la più alta in Italia.

Anche la Basilicata si è mossa con convegni e proposte sui luoghi meno noti.

La Calabria, una delle terre di origine degli emigranti, è molto visitata dai turisti alla riscoperta delle proprie radici insieme alla Sicilia, che è anche il territorio con il maggior numero di iscritti all’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero (AIRE).

E poi la Puglia, la Campania, il Lazio. Quasi ogni famiglia italiana ha uno “zio d’America”, a dimostrazione che l’emigrazione non è stata solo un fenomeno del sud Italia. Due esempi per tutti: Lombardia e Toscana.

La Lombardia, tra le regioni del nord Italia, è al terzo posto dopo Veneto e Friuli-Venezia Giulia, con oltre 87mila emigrati nel solo 1913, considerato a ragione un anno record.

Il dato è stato ricordato in un convegno organizzato da Confcommercio Bergamo, durante il quale si è parlato di valorizzazione del patrimonio culturale e umano.

Quello delle radici è un turismo della memoria, quindi anche psicologico oltre che emozionale. È la riscoperta dei piccoli luoghi, del dialetto, dei cibi dell’infanzia. Ma non è solo legato al tempo che fu, essendo attuale e profondamente proteso verso il futuro.

Lo ha spiegato bene Alberto Corti, responsabile di Confturismo, che ha definito il turismo delle radici “una leva strategica da sfruttare: dalle interviste effettuate a componenti italiani nel mondo, emerge come sia forte il desiderio di tornare nel nostro Paese, stabilire un legame e mantenere relazioni. Il turismo delle radici è un tema di tutti, che attraversa diversi aspetti, dalla cultura al cibo alla musica, tutte cose che rappresentano un legame forte con l’Italia”.

Un concetto ribadito anche a Firenze, in un convegno animato dalla presenza di tutte le componenti della filiera, pubbliche e private: comuni, musei, rappresentanti delle attività ricettive e della ristorazione, tour operator e altri professionisti del turismo.

Eugenio Giani, presidente della Regione, ha osservato come non si pensi spesso alla Toscana come terra di emigrazione.
E se è pur vero che altre regioni hanno numeri certamente maggiori, “non sono comunque pochi i toscani emigrati all’estero nell’Ottocento, come nel secolo successivo una volta finita la Seconda guerra mondiale. E qualcuno anche più di recente, visto che nel 2023 erano 214mila i toscani nel mondo, quasi il 6% della popolazione residente. E i figli, nipoti e bisnipoti di quei migranti, con la Toscana nel cuore, potrebbero oggi tornare a visitare la nostra regione diffusa dei loro avi, i suoi borghi pittoreschi, le dolci colline, le isole e le montagne. Una scommessa e un’opportunità – ha continuato Giani – un viaggio del cuore a ritroso. Dalla Scozia e dalla Francia, ad esempio, dove figurinai, camerieri, braccianti e operai sono emigrati dalla Lunigiana; da California, Argentina e Brasile dove tanti sono i lucchesi; dall’Australia, che fu scelta da numerosi elbani. Li aspettiamo”.

Giovanni Maria De Vita, responsabile del progetto per la Direzione generale Italiani all’Estero del MAECI, nel convegno di Firenze ha ricordato che “il turismo delle radici è una risposta all’overtourism: chi viene è interessato a vivere un’esperienza diversa. Viene per visitare i nostri piccoli borghi ma anche per vivere le tradizioni e le abitudini di quei luoghi di cui tanto ha sentito parlare attraverso i ricordi delle generazioni che lo hanno preceduto. Sono oltre 4.500 le richieste di viaggio per ricerche genealogiche e oltre 1 milione di accessi a italea.com. Più di 60 gli eventi di sensibilizzazione organizzati dalle Italea regionali e 19 missioni all’estero, con una partecipazione stimata di oltre 1,5 milioni di persone”.

“A differenza del turista tradizionale, il turista delle radici non è attratto dalle mete più note, ma dalle località legate alla sua storia familiare. Questo significa, anche per la Toscana, che puntare su questa tipologia di turista equivale a valorizzare borghi, tradizioni e territori meno battuti, creando un ponte tra il passato e il futuro, tra chi è partito e chi ora ritorna. Dobbiamo intercettare questi viaggiatori – evidenzia il presidente di Federalberghi Toscana, Daniele Barbetti – con un’offerta sempre più su misura, in grado di trasformare il ritorno a casa in un’esperienza indimenticabile. Convegni come questo servono proprio a mettere in rete tutti i soggetti che compongono la filiera del turismo delle radici, dagli enti pubblici ai musei, archivi, strutture ricettive e tutti i professionisti e le imprese del turismo potenzialmente interessati”. G.F.        







Pubblicato il 05/19/25