Il Lato Oscuro del DMA
di Simone Puorto
Il Digital Markets Act (DMA) è nato con l’intento di limitare il potere delle grandi piattaforme digitali – i cosiddetti “gatekeeper” – e promuovere una maggiore equità competitiva. Tuttavia, la sua applicazione nel settore dei viaggi e dell’ospitalità ha rivelato contraddizioni che rischiano di compromettere gli obiettivi iniziali della normativa.
Da un lato, colossi come Google sono stati costretti a implementare cambiamenti significativi per rispettare i requisiti del DMA, tra cui oltre venti modifiche ai propri servizi europei. Dall’altro, alcune imprese sembrano aderire in modo formale e superficiale, evidenziando una frammentazione nell’applicazione della normativa. Questo scenario, anziché ridurre le disparità, sembra amplificarle.
Un caso emblematico è rappresentato dalle modifiche apportate da Google alle proprie funzionalità. Strumenti utili come mappe interattive e informazioni sui voli sono stati ridimensionati o relegati in aree meno accessibili della pagina dei risultati. Questi cambiamenti hanno penalizzato l’esperienza degli utenti e avvantaggiato in modo sproporzionato grandi aggregatori di viaggi, OTA e siti di comparazione. Al contrario, albergatori e piccole imprese del settore hanno visto diminuire la loro capacità di raggiungere i clienti in modo diretto.
Effetti collaterali sul settore alberghiero
Secondo uno studio di D-EDGE (https://www.d-edge.com/the-dma-is-changing-google-search-but-not-how-hoteliers-had-hoped/), l’introduzione del DMA ha generato alcune problematiche significative nel panorama della distribuzione digitale degli hotel.
Ecco i principali punti emersi:
- riduzione del traffico diretto organico: la quota di ricavi diretti derivanti da traffico organico e non a pagamento su Google è scesa dal 66% al 57%;
- declino del traffico organico: si è registrato un calo del 20% del traffico organico verso i siti web degli hotel, probabilmente a causa del posizionamento più basso dei link organici nei risultati di ricerca;
- diminuzione dei ricavi dai Free Booking Links: i ricavi generati dai Free Booking Links sono diminuiti del 32%;
- i costi diretti di distribuzione diretta sono cresciuti del 18%, passando da una media del 3,3% al 3,9%;
- la quota di ricavi da prenotazioni dirette è scesa del 4,3%, attestandosi in media al 28,1%;
- la quota di mercato delle OTA è aumentata, raggiungendo il 62,7%;
- le altre fonti indirette (principalmente Hotelbeds) hanno incrementato la loro quota al 9,1%.
A peggiorare il quadro, l’eliminazione del modello pay-per-stay per le campagne metasearch di Google, avvenuta lo scorso febbraio, a favore di campagne pay-per-click più onerose, aggraverà ulteriormente la situazione, aumentando i costi di distribuzione per i piccoli operatori.
Le OTA, in questo contesto, risultano le principali beneficiarie, mentre i piccoli hotel indipendenti affrontano un calo di traffico diretto e un incremento dei costi operativi. Questo paradosso mette a rischio l’obiettivo principale del DMA: favorire trasparenza e concorrenza.
Il punto di vista di Google
Google ha ufficialmente dichiarato: “Riconosciamo che il DMA richiede cambiamenti significativi ai nostri servizi online in Europa, ma non crediamo che l’obiettivo finale sia impedire ai motori di ricerca di innovare e competere.
Questo approccio ridurrebbe il valore dei nostri servizi per gli utenti e le aziende, impedendoci di mostrare informazioni utili come prezzi e recensioni. Alla fine, ciò ostacolerebbe l’esperienza degli utenti e aumenterebbe i costi per i consumatori”.
Il test in Europa: un ritorno al passato
In Germania, Belgio ed Estonia, Google ha testato la rimozione di funzionalità avanzate dai risultati di ricerca, tornando al modello “dieci link blu” degli anni 2000. I risultati?
- Insoddisfazione degli utenti: più ricerche per trovare hotel adatti, con molti potenziali clienti che hanno abbandonato senza successo;
- calo del traffico verso gli hotel: le strutture alberghiere europee hanno subito un calo superiore al 10%, mentre il traffico verso le OTA è rimasto stabile.
In risposta, Google ha sospeso il test, sottolineando i rischi di un’applicazione troppo rigida della normativa.
Conclusione
Il Digital Markets Act, sebbene benintenzionato, sta mostrando limiti significativi. Un approccio disomogeneo e troppo rigido rischia di trasformarlo da strumento di equità a causa di nuovi squilibri nel mercato. Insomma, come abbiamo ripetuto in pù di un’occasione, il DMA si sta sempre più rivelando, più che un Digital Markets Act, un vero e proprio Disaster Marketing Act.