In un mondo ormai dominato dal web e impostato per la maggior parte sulle regole della digitalizzazione, c’è chi ha scelto di affidare alla pittura fatta dalla mano dell’uomo messaggi importanti, proprio sulle pareti di uno spazio potenzialmente aperto a tutti, ovvero un hotel. Poter vedere un’azione su un murales, che silenziosamente agisce nell’animo dello spettatore di qualsiasi genere e provenienza, può avere un valore fortissimo in termini di sensibilizzazione. Un obiettivo forse nelle corde di Giacomo Doni, socio storico di Federalberghi Milano e proprietario dell’hotel teatro dell’iniziativa.
Signor Doni, la sua famiglia ha una tradizione significativa nel mondo dell’ospitalità, un contesto nel quale la comunicazione può fare la differenza. Il suo gruppo alberghiero ha fatto un’esperienza importante in questo senso. Ce ne vuole parlare?
Noi siamo alla terza generazione di albergatori. Il prossimo anno la nostra attività compirà 70 anni. Mio nonno cominciò con un piccolo albergo di 12 camere. Lui viveva nella cantina sottostante con la nonna e la sua famiglia. Oggi, di camere ne gestiamo più di 200 solo su Milano. In Piemonte siamo sul Lago Maggiore. Come mai? I miei genitori si conobbero sulle piste di una località del Monte Rosa. Lì è rimasto un pezzo di cuore e un pezzo di proprietà immobiliare e nel 2019 abbiamo aperto una prima realtà piccola, dove abbiamo sviluppato alcune tecnologie mirate all’abbattimento delle emissioni nocive. Nel nostro piccolo, stiamo dando progressivamente il nostro meglio per renderci azienda più sostenibile a livello ambientale, ma anche con forte sostenibilità sociale.
Questa inclinazione ha guidato le vostre scelte...
Dal punto di vista del sociale sì. Tutto inizia negli ultimi 10 anni, complice la nostra generazione di famiglia – la terza – che si occupa di ospitalità, io e le mie due sorelle Camilla ed Elda. In sintesi, intorno al 2016 incontriamo casualmente come gruppo Doni un’associazione concentrata su bambini con disturbi dello spettro autistico. Cogliamo allora l’opportunità e il desiderio latente di ampliare gli orizzonti della nostra azienda in termini di risorsa per il sociale e non solo fondata sul profitto. Ne nasce una collaborazione che porta alla realizzazione della prima “mappatura” a livello nazionale dell’albergo per persone affette da spettro autistico. Cerchiamo di certificarlo, decidiamo di avvalerci della professionalità dell’associazione “L’Abilità onlus”, la stessa che progetta e rende accessibili le strutture per persone affette da disabilità cognitiva e che ha realizzato, tra gli altri, il progetto dell’accessibilità degli scavi di Pompei. Ci convinciamo dell’obiettivo e raggiungiamo un primo livello, che è passato attraverso l’approccio formativo per il nostro staff, così da creare valore e consapevolezza dei nostri collaboratori circa questi bisogni speciali. Vorrei specificare che la disabilità ha tre diverse macro aree: quella motoria, quella sensoriale che riguarda i non vedenti e i non udenti, e quella appunto cognitiva, della quale fa parte lo spettro autistico. Alla fine, il nostro Hotel Madison riesce a produrre questo primo livello di studio, e porta in dote questa volontà alla catena internazionale cui apparteniamo (Best Western Italia): la catena abbraccia il progetto perché lo sente suo. Da quel giorno abbiamo mappato e certificato circa 30 alberghi nel panorama italiano. Il progetto di accessibilità vede la sua consacrazione tra il 2017 e il 2018.
Che cosa è successo dopo?
Verso il 2022 siamo intervenuti per la riqualificazione delle facciate dei nostri hotel, ed è nata l’idea di applicare dell’arte su uno dei nostri alberghi. Decidiamo di realizzare, in collaborazione con il gruppo Orticanoodles, street artist affermati sul panorama nazionale, il progetto del murales, che si trova sulla facciata del nostro Hotel Astoria. Un bambino e una donna in un abbraccio invisibile, il fondo è sulle tonalità del blu (da qui la definizione “Blu Wall”, nda), colore che ricorda che esiste lo spettro dell’autismo nella nostra società. Sono raffigurati una donna e un bambino come immagine che può essere letta in chiavi diverse: di una madre protettiva, ma anche di un disturbo cognitivo che resta comunque nella vita dell’adulto.
Il tema dell’inclusione nelle strutture alberghiere è sempre più attuale. Come pensa che la vostra categoria possa operare in questo senso?
è difficile immaginare che alberghi italiani, nati magari tra gli anni ’50 e ’60 con caratteristiche strutturali che non rispondevano a specifiche normative nella loro genesi iniziale, possano adeguarsi in modo perfetto a tutte le disabilità che oggi sono previste nello sviluppo di un immobile del Terzo millennio. Per questo è molto importante fare opera di riflessione nel settore. Non è sbagliato procedere per cluster, i gruppi di domanda sono corretti, per chi vuole vivere a pieno la propria esperienza in hotel così come se l’è prefigurata. Fare tutto bene è impossibile. Specificarsi e specializzarsi, invece, è utile e possibile. Diventa essenziale quindi incidere su chi è chiamato a rilasciare le normative, così da consentire all’albergatore di potersi rendere accessibile a una specifica forma di disabilità, non a tutte incondizionatamente. è utopistico poter essere adeguati per tutti, meglio specificarsi in un ambito importante per chi andrà a esserne il fruitore. La persona con fragilità, quando sceglie di andare in un albergo, ha bisogno di trovarsi in un contesto in cui si sappia di che cosa si tratta. Noi abbiamo dato un esempio pratico, ma questo non vuol dire che abbiamo la risposta. Abbiamo iniziato un percorso che però deve essere pilotato dalle sovrastrutture, dai corpi intermedi. Quando si decide di prendere in considerazione il termine “disabilità” e spacchettarlo nelle sue diverse forme, dobbiamo essere consapevoli che tutto bene non si può fare, ma se si cercasse appunto di “clusterizzare” gli alberghi, ciò consentirebbe all’albergatore stesso di affezionarsi a un’idea e a soddisfare la specifica esigenza. L’operatore commerciale non deve essere lasciato a se stesso, i corpi intermedi a mio avviso dovrebbero farsi promotori di un messaggio d’inclusione. Inclusione non solo in termini di ospitalità, ma anche in termini di accessibilità del mondo del lavoro.
Voi avete operato anche su questo fronte, a quanto risulta dalle cronache...
Diciamo che nel periodo della pandemia abbiamo cercato di restituire qualcosa alla città di Milano, che tanto ci ha dato. La situazione ci aveva obbligato a chiudere, per scelta aziendale, i nostri alberghi. Ma nella seconda ondata del virus, nel marzo 2021, insieme alle sorelle Edda e Camilla abbiamo messo a disposizione la nostra struttura e siamo diventati il secondo covid-hotel della città. Lo evidenzio perché ciò fa parte di una maturazione del gruppo familiare e dell’azienda tutta. Abbiamo sentito il dovere civile di dare il nostro contributo. Poi, mia sorella Elda all’Hotel Astoria ha voluto rendersi disponibile per l’alternanza scuola/lavoro, accettando solo ragazzi con fragilità, per consentire di fare esperienze lavorative a studenti che vanno dalla 3a alberghiera fino al diploma. In termini di ricaduta per i soggetti coinvolti, abbiamo visto molti di questi giovani maturare, sicuramente li abbiamo aiutati a prendere più consapevolezza di quello che è il mondo “fuori”.
Qual è l’hotel ideale, veramente “aperto a tutti”, che sappia coniugare le esperienze comuni con quelle di coloro che hanno bisogni speciali, al fine di una piacevole e armonica convivenza?
Non credo si debba parlare di albergo, ma di organizzazione. L’albergo è l’asset, è l’immobile, è ciò che si ha la forza di poter fare come intervento squisitamente immobiliare. L’hotel sono i muri. L’organizzazione sono le persone. Si deve tornare a parlare di persone. Il nostro staff, le persone appunto, fa la differenza. Sono loro che si devono modellare sulle necessità del soggetto fragile e sapere come intervenire nelle difficoltà. Senza le persone che lo fanno pulsare al suo interno, l’hotel è un oggetto inanimato. Ba.Bo.